Dietrofront della Procura: Palamara non fu corrotto

Derubricata l'accusa per i rapporti con Centofanti. L'ex pm patteggia un anno e potrà candidarsi

Dietrofront della Procura: Palamara non fu corrotto

Quando nel maggio di quattro anni fa i giornali titolarono «Corruzione al Csm» non erano improvvisamente ammattiti: semplicemente riprendevano e amplificavano le teorie che avevano portato la procura della Repubblica di Perugia a indagare su Luca Palamara, allora potente leader della magistratura organizzata, e sul sistema di potere che gli ruotava intorno. Ne seguì il terremoto che si sa. Peccato che ora si scopra che la corruzione di Luca Palamara semplicemente non esisteva. E che incastrando Palamara, presentato all'opinione pubblica come l'unica mela marcia di un organismo sano, si siano create le condizioni perché tutto continuasse come prima.

Ieri è la Procura umbra a fare un ultimo, cruciale passo indietro. Nel processo in corso a carico di Palamara per l'accusa di essersi fatto corrompere dall'imprenditore Fabrizio Centofanti, è lo stesso Raffaele Cantone, procuratore capo, a chiedere che l'accusa venga derubricata. Non più corruzione ma «traffico illecito di influenze», reato introdotto nel codice solo nel 2012, dai contorni piuttosto sfuggenti e comunque assai meno grave. È una scelta figlia di una lunga trattativa tra Cantone e i difensori di Palamara, davanti a un processo che nessuno - per motivi molto diversi - aveva voglia di affrontare.

Davanti al passo indietro di Cantone, Palamara sceglie di patteggiare la condanna a un solo anno, pena poco più che simbolica, e sottolineando comunque che «non è una ammissione di colpevolezza, è solo una scelta processuale e personale per liberarmi da un fardello e essere sempre più libero di continuare la mia battaglia per una giustizia giusta». Anche perché, dettaglio non irrilevante, grazie alla legge Cartabia il patteggiamento non fa più scattare la incandidabilità alle cariche politiche e amministrative. Nella sua nuova vita l'ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati potrà sbarcare senza problemi in Parlamento.

È la sesta volta che gli inquirenti umbri modificano al ribasso le accuse a Palamara. Sul tavolo ormai erano rimasti i viaggi e le cene offerti da Centofanti al potente amico e alla sua fiamma Adele Attisani: favori di cui, anche nelle ipotesi d'accusa, non era mai stata individuata la contropartita illecita, e questo rendeva per Cantone il processo tutto in salita. Ben prima erano venute meno accuse più precise e pesanti, come i 40mila euro contestati a Palamara per la nomina del procuratore di Gela: eppure proprio quell'accusa era stata utilizzata come un grimaldello per infettare il telefono del pm romano con il trojan che rivelò agli inquirenti l'impressionante rete di favori e di nomine di magistrati di primo piano in tutta Italia che veniva smistata da Palamara. Ma i beneficiati da Palamara sono rimasti quasi tutti al loro posto, e gli altri capicorrente che partecipavano alla lottizzazione non hanno avuto scossoni di carriera.

Ora l'accordo di pace con la procura umbra chiude la partita.

Lui, Palamara, al telefono più che contento sembra sollevato. «È finita, era ora. Mi sono battuto come una bestia, come un leone. Nessuno avrebbe scommesso che ne sarei uscito vivo. Invece ce l'ho fatta».

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