"Possibile che un segretario del Pd venga sospeso perché ha contestato un'intervista di un tizio? Possibile che un segretario del Pd venga sospeso per un post su Facebook? Possibile che si decida di sospendere un segretario del Pd a ridosso di elezioni comunali?". A scriverlo Dario Corallo, giovane candidato alle primarie del 2019, sul suo profilo social dove ha raccontato nel dettaglio la singolare vicenda di Enrico Sabri, reo di aver criticato Goffredo Bettini sull'alleanza col M5S.
"Goffredo, hai un pò scocciato", è la frase incriminata che ha fatto partire il procedimento disciplinare contro Sabri, segretario Pd del quartiere Balduina-Montamario. "Il fatto è che Enrico Sabri per quel post viene segnalato alla commissione di garanzia e, dopo qualche settimana, riceve una lettera dove gli si comunica che la commissione di garanzia ha provveduto a sospenderlo dal Pd per 30 giorni", si legge ancora nel post di Corallo che aggiunge:"La votazione nella commissione -continua Corallo- si è conclusa con 3 favorevoli, 3 contrari e 1 astenuto. In qualsiasi organismo l'astensione vale come voto contrario, dall'assemblea di condominio al Senato della Repubblica. Nella commissione di garanzia del Pd Roma no. E vabbè". "Il problema è la lesa maestà per aver criticato il 'vatè degli zingarettiani o la critica tout court?", si chiede ancora il giovane esponente del Pd romano che chiosa: "Per la commissione dire che Bettini ha rotto equivale all'essere arrestati o all'aver inneggiato al nazismo. Forse, invece che soffocare il dissenso e la critica, il partito dovrebbe imparare ad ascoltarlo altrimenti continueremo a perdere senza che quei geni dei nostri dirigenti abbiano capito il perché. Un partito di ciechi che fanno a sassate".
Corallo, intercettato telefonicamente da ilGiornale.it, spiega che "a Roma tutti gli zingarettiani guardano ancora a Bettini come punto di riferimento e, a livello cittadino, lui ha messo 'i suoi' un po' ovunque. Se, poi, parliamo a livello nazionale, Bettini, tranne nella stagione Renzi, è stato il regista ombra del partito, da Veltroni in poi". Stavolta, come è noto, l'ex europarlamentare del Pd avrebbe voluto a tutti i costi il ritiro di Virginia Raggi dalla competizione e la candidatura unitaria giallorossa del suo pupillo, Nicola Zingaretti. Una mossa che avrebbe portato un grillino alla guida della Regione Lazio nel caso in cui, se si fosse concretizzata l'alleanza Pd-M5S, si fosse dovuti tornare alle urne anche per la Pisana. Così non è stato e, alla fine, si è giunti alla candidatura di Roberto Gualtieri come "frutto di un compromesso tra correnti". L'ex ministro dell'Economia del Conte-bis "è espressione degli ex orfiniani che sono passati con Zingaretti", ci spiega Corallo secondo cui "in una situazione in cui il centrodestra mostra una certa vivacità, il centrosinistra rimane bloccato in una dinamica identica a quella del 2007". Secondo il giovane ex candidato alle primarie del 2019 "la logica è sempre la stessa: c'è un gruppo dirigente che gioca agli equilibrismi di corrente per cercare di tenere in piedi una macchina che continua a perdere pezzi. Il Pd, dalla sua nascita a oggi, ha perso la metà dei propri voti (6 milioni) e la metà dei suoi iscritti perché i personaggi e la regia è sempre la stessa".
Domenica il Partito Democratico si sottoporrà di nuovo al test delle primarie e, nella Capitale, i militanti temono che vi sarà un vero e proprio flop come già successo a Torino. Se, infatti, a Roma, nel 2012 quando venne scelto Ignazio Marino, votarono circa 100mila persone, ora si prevede una partecipazione che oscillerà tra i 20 e i 30mila votanti (cinque anni fa furono 40mila). "Il Pd arriva abbastanza scarico alle comunali perché ci sono poche persone nelle sezioni e pochi volontari per fare i gazebo. Manca l'entusiasmo che c'era quando si doveva riconquistare la città dopo Alemanno", ci dice Francesco Di Giovanni, membro della segreteria Pd a Roma. "La sospensione di un segretario municipale, a una settimana dalle primarie, è un segnale del fatto che manca la coesione che ci dovrebbe essere dopo il governo disastroso della Raggi", sottolinea Di Giovanni. Questa volta, poi, l'esito delle primarie è molto più che scontato dato che Gualtieri è l'unico candidato del Pd e, gioco forza, viene appoggiato da tutte le correnti. Giovanni Caudo, presidente del III Municipio ed ex assessore all'Urbanistica con Ignazio Marino, pare non avere chances. "La verità è che le primarie stentano a decollare perché stavolta non è stato Bettini a scegliere il candidato", dice polemicamente Di Giovanni che ci spiega la decisione del partito di sospendere Sabri con la teoria del piedistallo: "Ogni volta la sinistra mette sul piedistallo qualcuno e, qualsiasi cosa faccia, rimane lì e diventa un totem incriticabile perché c'è un uso distorto della disciplina di partito. E questa teoria vale anche per Bettini che ha sempre gestito il partito a livello quasi familiare".
E contro Bettini si scagliano anche alcuni militanti del partito romano che, per ovvi motivi, parlano solo a taccuini chiusi: "L'alleanza con il M5S è figlia di un discorso che nella sinistra ha prevalso dagli anni '90 in poi e che riguarda l'apertura al centro e l'idea di Bettini di fare del Pd un partito leggero. Per lui è naturale fare un'alleanza col M5S. Ma se, ci chiedessero cosa ne pensiamo noi militanti, si scoprirebbe che non siamo affatto d'accordo".
E aggiungono: "Secondo noi ha ragione Gualtieri quando dice: 'Io non mi voglio apparentare con i Cinquestelle' perché è sbagliato pensare che la politica funzioni per addizione e che i nostri voti e i loro portino alla vittoria. Ricordiamoci che il M5S è un movimento antipartitico e antipolitico che si è fatto grande sulla pelle del Pd, soprattutto a Roma. Basti pensare alle arance in Campidoglio... Noi non vogliamo averci nulla a che fare".
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