Dal dramma di Scarponi nessuna lezione. La lunga scia di sangue delle due ruote

Diversi gli atleti morti in gara o in allenamento. Ma sono molte le vittime anche tra gli amatori: già più di 100 da inizio anno

Dal dramma di Scarponi nessuna lezione. La lunga scia di sangue delle due ruote

Un tempo c'era il doping a tenere banco, a far parlare di sé, adesso c'è qualcosa di maledettamente più atroce, che ogni volta ci toglie il fiato. È la continua mattanza di ciclisti sulle nostre strade. Parliamo di ciclisti, di chi pratica lo sport o chi usa la bicicletta come mezzo di mobilità leggera alternativa.

I numeri non fanno altro che confermare il momento che da un lato fa registrare un più che confortante boom di vendite delle biciclette e dall'altro registrano la crescita esponenziale di morti e feriti sulla strada, che questi siano campioni come Davide Rebellin o Luca Marengoni, lo studente 14enne, morto sotto un tram il 9 novembre scorso a Milano. Nel 2021, segnala l'Istat, gli incidenti che hanno coinvolto bici e monopattini sono addirittura aumentati del 22% causando 229 morti e 18.037 feriti. Sono stati invece 103 i ciclisti che hanno perso la vita sulle strade italiane nei primi otto mesi dell'anno nell'immediatezza dell'incidente, cui si debbono aggiungere i decessi avvenuti a distanza di giorni o settimane negli ospedali dopo il ricovero, come da dati forniti dall'Associazione sostenitori Polstrada (Asaps).

Tanti i morti sulle strade, tanti i corridori che hanno fatto la fine di Davide Rebellin. Morti in corsa (Fabio Casartelli e Wouter Weylandt, per fare qualche nome, ndr) o in allenamento. Michele Scarponi muore in un incidente stradale dopo esser stato investito a un incrocio da un furgone mentre si stava allenando sulle strade di casa. Il 24enne Romain Guyot muore nel 2016 sotto un camion, mentre nel 2001 Ricardo Ochoa viene investito da una macchina guidata dal suo direttore sportivo che ebbe un malore e lo investì. Nel 1995 tre colombiani (Mora, Triana e Patino, ndr) della Manzana Postobon, furono investiti da una jeep che si scontrò con camion: la malefica carambola fu per i tre fatale.

«La scomparsa di Davide ci ferisce profondamente per ben due motivi. Prima di tutto perché una tragica notizia vede coinvolto ancora una volta un ciclista. Pur non conoscendo ancora bene le dinamiche dell'incidente, è evidente che ancora molto bisogna fare in questo Paese riguardo la cultura del rispetto». Questo è quanto pensa il presidente della Fci Cordiano Dagnoni commentando la tragica scomparsa di Davide Rebellin, travolto da un camion mentre era in bici. «Ci tengo a sottolineare che il nostro sport vive sulla strada, soprattutto in occasione degli allenamenti. È da tempo che la Federazione sollecita le Istituzioni ad intervenire con provvedimenti adeguati - ha aggiunto il numero uno del ciclismo italiano -.

Poi perché tocca un componente della nostra grande famiglia, che ci ha entusiasmato con le sue imprese e che ha corso nel gruppo fino ad un mese fa. La bicicletta era la sua vita, anche adesso che aveva deciso di smettere, ed è un destino beffardo quello che l'ha travolto», ha chiosato Dagnoni.

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