Le due bugie che nascondono il flop del semestre europeo

Renzi rivendica il cambio di verso di Bruxelles su flessibilità e crescita dopo la presidenza italiana. In verità si è solo appropriato di conquiste già ottenute nel 2010 da Berlusconi

di D imissioni del presidente della Repubblica, riforma costituzionale, riforma della legge elettorale, è tanta la carne al fuoco del governo di Matteo Renzi, che trascura, di conseguenza, l'emergenza economica in cui versa il nostro paese.

La settimana appena conclusa, inoltre, è stata caratterizzata dall'imbarazzante discorso di chiusura del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, tenuto da Renzi a Strasburgo, e dal roadshow in Italia del vicepresidente della Commissione europea e commissario a Lavoro, crescita, investimenti e competitività dell'Ue, Jyrki Katainen. È importante notare che nessun riferimento il commissario ha fatto al documento pubblicato dalla Commissione proprio il 13 gennaio, presentato da Renzi come una sua grande vittoria sulla flessibilità in Europa, ma che invece altro non contiene se non linee guida di interpretazione delle regole già esistenti. Ancora una volta, come è suo solito, Matteo Renzi ci ha propinato due simpatiche bufale.

La prima è la bufala della rivendicazione del grande successo italiano sul cambio di verso sulla crescita in Europa, mentre siamo dinanzi alla solita flessibilità già esistente all'interno dei Trattati.

La Commissione ha solo messo per iscritto quello che già tutti sapevamo, e su cui anche l'Italia ha basato in questi anni la sua politica economica, vale a dire che, in periodi di recessione grave e prolungata, i Paesi che registrano un rapporto deficit/Pil inferiore al 3% possono fare investimenti produttivi per importi pari a quel margine che rimane prima di superare la soglia massima. Ma sempre rispettando la regola del 3%, che viene quindi ribadita e confermata!

Nulla di nuovo, quindi: il documento del 13 dicembre non muta le regole base, ma spiega come la Commissione intende interpretarle. I parametri del patto di Stabilità e crescita, del Fiscal compact e del Six Pack vengono confermati e, pur nell'ambito di un lessico che fa riferimento alla flessibilità, viene rafforzato il rigore dei conti pubblici: dopo la pubblicazione di queste linee guida non c'è più spazio per le interpretazioni. Fino ad oggi tutto era ancora fumoso e nebuloso, mentre ora è stato scritto nero su bianco, sia pur nel solito linguaggio burocratico della Commissione europea. Altro avremmo potuto dire se la Commissione avesse concesso agli Stati di superare il 3% per gli investimenti produttivi. Questa sì che sarebbe stata una vittoria di Matteo Renzi. Tanto più che nel 2014 l'Italia registrerà un rapporto deficit/Pil proprio al limite del 3% (se non oltre, come le ultime rilevazioni dell'Istat fanno pensare).

Ultimo, ma non ultimo: per ottenere questa flessibilità gli Stati devono presentare alla Commissione un ambizioso programma di riforme, con relativa tempistica di attuazione, per dimostrare che saranno in grado di recuperare quei decimali di deficit in più che l'Ue concede. Ebbene, deve trattarsi di riforme rilevanti. Major , citando il documento. Devono avere un effetto di lungo periodo sugli equilibri di bilancio, devono essere progressivamente implementate e devono essere continuamente monitorate dalla Commissione europea. Se solo un elemento viene meno, addio flessibilità (ancorché falsa, come abbiamo dimostrato). Come si vede, siamo ben lontani dal poter considerare le riforme costituzionali, di cui discute oggi il Parlamento italiano, o la legge elettorale, misure in grado di rispondere ai nuovi criteri. Il che dà ragione alle nostre critiche.

E poi la seconda bufala: da dove deriva questa flessibilità nell'ambito dei Trattati, che oggi pare la soluzione di tutti i problemi dell'eurozona, e di cui Renzi si appropria spudoratamente?

Per spiegare l'arcano bisogna tornare indietro nel tempo. A quel Consiglio europeo del 17 giugno 2010, in cui si discusse davvero di flessibilità per la prima volta. E qui c'è la sorpresa. Fu Silvio Berlusconi, allora, che si oppose a qualsivoglia irrigidimento delle regole, minacciando di porre il veto dell'Italia, bloccando l'intera trattativa sul fiscal compact e sul six pack. Su proposta del presidente Berlusconi, infatti, il Consiglio europeo del 17 giugno 2010 inserì la previsione di «attribuire importanza maggiore ai livelli, all'andamento e alla sostenibilità globale dell'indebitamento degli Stati».

Il presidente del Consiglio europeo Van Rompuy precisò che il concetto di sostenibilità globale copriva numerosi parametri, incluso quello del debito privato. Proprio come chiedeva Berlusconi, perché prendendo in considerazione l'indebitamento aggregato, l'Italia è seconda solo alla Germania. L'Italia, infatti, ha tanto debito pubblico, ma poco indebitamento (e tanto risparmio) privato.

Tuttavia, l'unico riferimento a tale previsione nel nuovo patto di Stabilità e crescita dell'Ue che è entrato in vigore il 13 dicembre 2011 risiede nella statuizione che i piani di rientro definiti dalla Commissione europea per gli Stati che superano la soglia del 60% nel rapporto debito/Pil tengano conto dei fattori rilevanti dei singoli Paesi e dell'impatto del ciclo economico. Sul tema dei fattori rilevanti ha continuato a insistere, quindi, Berlusconi, affinché tra questi si includesse la sostenibilità globale dell'indebitamento dei singoli Paesi, come definita nell'ottobre 2010, e che, pertanto, nel calcolo del rapporto debito/Pil si comprendesse, al denominatore, oltre al debito pubblico, anche quello di famiglie e imprese. Rivedendo in tal senso i parametri del six pack , l'Italia sarebbe stata chiamata a uno sforzo di riduzione del debito pubblico ridotto almeno alla metà rispetto alle manovre del 3% annuo del Pil per 20 anni attualmente previste.

Allo stesso modo, l'ordine del giorno n. 9/05358/001 che ha accompagnato la ratifica del fiscal compact da parte del Parlamento italiano il 19 luglio 2012 ha previsto che «con riferimento ai fattori rilevanti di cui tenere conto nell'ambito del calcolo del debito o del deficit eccessivo degli Stati rispetto ai limiti fissati dal fiscal compact si facesse riferimento all'articolo 2 del Regolamento del Consiglio europeo n. 1467/97 del 7 luglio 1997, come modificato dal Regolamento del Consiglio n. 1177/2011 dell'8 novembre 2011». L'ultimo cui ha partecipato Berlusconi. Se qualcosa di positivo vogliamo vedere, quindi, nel documento della Commissione europea del 13 gennaio 2015, questo è solo l'esplicitazione dei paletti posti da Berlusconi nel 2010.

Matteo Renzi, come è sua consuetudine, si è subito appropriato del relativo successo, vestendo i panni della volpe. Dimenticando, tuttavia, che spesso, specie se si tira troppo la corda, quel furbo animale finisce in pellicceria. O peggio.

Ps: il professor Padoan, che queste cose certamente conosce, perché con la sua proverbiale competenza non le dice pubblicamente, dando a

Cesare-Berlusconi quel che è di Cesare, e dando al suo attuale presidente del Consiglio quanto gli spetta? Sarebbe una bella prova di onestà intellettuale, caratteristiche che da un po' di tempo non vediamo più in via XX settembre.

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