E Gentiloni torna Dc: il Cav non è populista, ma niente larghe intese

Il premier a Davos rassicura i partner Ue: dopo il voto l'Italia resterà un Paese stabile

E Gentiloni torna Dc: il Cav non è populista, ma niente larghe intese

Il suo impegno, quello di «portare il Paese alla fine della legislatura», lo ha compiuto. Paolo Gentiloni ha portato fino in fondo anche il ruolo che gli hanno dato, cucito addosso, di garante delle istituzioni. E adesso che il 4 marzo si avvicina, e il dibattito politico sollecita gli appetiti, quei panni cominciano a stargli stretti. Da uomo delle istituzioni a uomo delle rassicurazioni (politiche) il passo è breve.

Gentiloni fa una delle sue ultime comparse pubbliche al World Economic Forum di Davos in Svizzera, uno degli appuntamenti importanti dell'agenda diplomatica europea, e ne approfitta per lanciare i suoi slogan elettorali. Qui il ruolo si sdoppia. Premier in carica e candidato politico. Una condizione difficilmente ripetibile e occasione ghiotta. Intervistato dalla Cnbc, il presidente del Consiglio si sofferma sui possibili scenari dopo le elezioni di primavera in Italia, garantendo che «la posizione populista anti Ue non prevarrà» e che «l'Italia manterrà la sua stabilità». «Finalmente, dopo molti anni nei quali siamo stati percepiti come un paese un po' ammalato, l'Italia è giudicata per come effettivamente è, ossia con grandi potenzialità e in crescita. Il sentimento che circola qui è speriamo che continui così, che questa spinta di riforme non debba essere messa in discussione».

A chi parla il premier uscente e candidato Gentiloni? Di sicuro a quei leader internazionali che per sua stessa definizione seguono «con una certa curiosità ed attenzione» il voto di marzo in Italia. Rivendicando per sé una credibilità oltre confine che potrebbe tornargli pur sempre utile. Gentiloni parla pure al suo partito, anzi, per il suo partito. Di fronte all'ipotesi (ormai prospettata da più parti) di una situazione di stallo e di un Parlamento senza maggioranza dopo il 4 marzo, dice: «Noi speriamo che non sarà questo il caso e che il centrosinistra che rappresento abbia la maggioranza e in ogni caso penso che saremo il pilastro di una possibile coalizione». Chissà se a quel «noi» sono chiari pure i margini di questa coalizione. Gentiloni, parla più che altro per sé, e si dichiara «non interessato» alla domanda sulla disponibilità a formare una coalizione con il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi. «Le posizioni sono molto differenti. C'è un partito conservatore da una parte e due partiti populisti e antieuropei. Penso che questa coalizione non reggerebbe», dice. Poi, più tardi in giornata, raddrizza il tiro da Bloomberg e precisa: «Non chiamerei Berlusconi un populista, ma prendo atto che nella sua coalizione populisti e antieuropeisti non solo sono presenti ma predominanti». Intanto, per marcare la distanza dagli uni e dagli altri, passa in rassegna i temi caldi. No alle posizioni protezionistiche di Trump. No, soprattutto, alla chiusura dei porti per gli immigrati. «Vogliamo continuare a salvare vite, non vogliamo chiudere i nostri porti». Il manifesto c'è. Il programma pure. «Sono in buona salute - assicura- ma il mio impegno, 13 mesi fa, era quello di continuare le riforme, affrontare una serie di crisi, dai migranti al sistema bancario. Questo era il mio impegno, che termina con le elezioni. Dopo vedremo».

Gentiloni è in campagna elettorale.

E in questo «dopo» c'è tutta una dichiarazione d'intenti - e disponibilità - firmata e non detta, a un nuovo incarico. Sia mai che quella possibilità da scongiurare, di un'Italia che «deve evitare qualsiasi deragliamento» poi si avveri. Il premier uscente intanto, è pronto. Alla panchina, preferisce la riserva.

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