Una vera e propria odissea. Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono prigionieri dell'India da oltre trenta mesi, quasi mille giorni di processi senza fine, rinvii, ricorsi, trasferimenti, ricoveri. Un'interminabile attesa. Di che cosa? Del verdetto di una corte indiana che non è legittimata a giudicare i nostri militari, a prescindere dalle loro azioni. Ma è proprio l'impossibilità di arrivare a una sentenza che rende questa vicenda drammatica. Per i due marò, per le loro famiglie, per la dignità del nostro Paese.
È stata una Caporetto sotto tutti gli aspetti: politici, diplomatici, d'immagine. L'Italia ne esce con le ossa rotte e una credibilità internazionale finita sotto i tacchi. Ma i responsabili di questa farsa mondiale hanno un nome e un cognome e possiamo definirli, senza alcuna remora, complici dell'India.
A cominciare dal non rimpianto premier Mario Monti. Lui non è solo colpevole, ma agì contro gli interessi nazionali tenendo una condotta a dir poco criminale. Monti e il suo governo cercarono di risolvere la crisi con l'India a tarallucci e vino. Neppure per un momento, nonostante furono sollecitati da più parti, misero in agenda il ricorso all'arbitrato internazionale, visto che l'India non ha giurisdizione fuori dalle proprie acque territoriali, dove avvenne l'incidente in cui morirono due pescatori indiani. Neppure dopo gli schiaffi ricevuti come risposta da New Delhi cambiò l'atteggiamento di Monti, che superò se stesso il 23 febbraio 2013, quando Latorre e Girone rientrarono in Italia per votare con il permesso dei giudici indiani.
L'indimenticabile premier si precipitò all'aeroporto ad accoglierli, pensando bene di sfruttare l'occasione mediatica per racimolare consensi elettorali. Pochi giorni dopo, l'11 marzo, il professore si trasformò in leone e, grazie all'operazione congegnata dall'allora ministro degli Esteri Giulio Terzi , dichiarò urbi et orbi che i due marò dovevano restare in Italia. L'India è beffata, pensarono tutti. Ma non fecero i conti con il vero Monti, un quaquaraquà senza pari, che calò le braghe quando gli indiani cominciarono a strillare e presero in ostaggio il nostro ambasciatore a New Delhi (amico stretto, guarda caso, del suo ministro Corrado Passera). Un'altra, gravissima violazione del diritto. E non sarà l'ultima.
Il governo Monti come reagì? Coinvolse l'Onu, l'Europa, le corti internazionali competenti? Macché. Da vero criminale, non esiste altra maniera per definirlo, rispedì in India i due marò, facendo rischiare loro la pena di morte poiché i giudici indiani, per aggirare le norme internazionali, inventarono l'accusa di terrorismo per avere il diritto di processarli.
Nel piano diabolico Monti fu appoggiato (e forse anche ispirato) dal ministro dello Sviluppo Passera che, assieme a quello della Difesa Giampaolo di Paola, in una riunione governativa ristretta presero la decisione fatale sui marò. Il responsabile degli Esteri, Giulio Terzi, che fino allora aveva seguito la linea montiana, non ne volle sapere della porcata e rassegnò le dimissioni. Memorabile la seduta in Parlamento in cui Terzi lasciò l'incarico senza indugi e il collega Di Paola, ammiraglio che aveva da poco tolto la divisa per la politica, con palese imbarazzo annunciò che era giusto abbandonare i militari al loro destino. Nobile figura per un ex comandante della Marina.
Ma non dimentichiamo Passera che, nonostante il suo dicastero non avesse competenze dirette nella vicenda, fu il più attivo nello spingere il governo a prendere quella scelta scellerata. Quali interessi si celavano dietro il suo pressante intervento? Non lo sappiamo, le voci in circolazione erano tante. Una cosa è sicura: non voleva certo tutelare Finmeccanica, che perse comunque la commessa da oltre 500 milioni con l'India.
Le elezioni politiche dell'aprile 2012 seppellirono il ridicolo Monti e compagnia e aprirono la strada al governo di Enrico Letta. Encomiabile nei propositi. Già all'atto dell'insediamento il neo premier volle stupire annunciando che il caso marò sarebbe stato «una priorità» per il suo governo. «Priorità» sarà una cantilena ricorrente, che rimbalzerà sulle bocche di ministri e premier fino ai giorni attuali.
Ma in concreto, neppure Letta con i ministri della Difesa Mario Mauro e degli Esteri Emma Bonino spostarono avanti di un millimetro la questione marò. Certo, è stato un esecutivo con la vita breve (otto mesi), sgambettato dagli stessi compagni di partito. Negli ultimi giorni di vita, ci fu un colpo di coda della Bonino che internazionalizzò il caso, coinvolgendo Unione europea e Nato e aprendo la strada all'arbitrato internazionale. Troppo poco e troppo tardi.
Il 22 febbraio 2014 arriva il rottamatore Matteo Renzi che sfratta tutti e inaugura la strategia degli annunci. E sono già trascorsi due anni. Latorre e Girone sono sempre alla mercé di una giustizia lenta e che vìola le più elementari norme del diritto. «Riportare a casa i marò è una priorità», continuano a ripetere i ministri degli Esteri Federica Mogherini (ora salita al sacro soglio di responsabile europeo della politica estera) e della Difesa Roberta Pinotti. Il mantra però non sortisce più effetti. Sono solo chiacchiere.
Ma qualcosa cambia. Sì, in peggio. La scorsa primavera il voto indiano ha portato al governo un'altra maggioranza politica e un primo ministro nazionalista indù. E che cosa tirano fuori dal cilindro i nostri rappresentanti al governo? La trattativa. Ora è più facile negoziare con New Delhi, dicono convinti. Quindi Renzi e compagnia cantante pensano bene di fermare la richiesta di arbitrato internazionale. Ma «resta pronta», ci tiene a dire la Mogherini, anche se «stiamo lavorando per riaprire canali di dialogo col nuovo governo indiano». Perché questo cambio di strategia?
Lady Pesc Mogherini sostiene che per l'arbitrato servono tempi lunghi, mentre la «priorità» è riportare i marò a casa presto. Balle, le stesse che ripetono da due anni e mezzo. Se la fa sotto anche questo governo. Che, oltre all'arbitrato, avrebbe un jolly nel suo mazzo: l'accordo di libero scambio tra Ue e India. Basta che l'Italia ponga il veto e salta tutto.
Potrebbe essere più che sufficiente per un accordo di libero scambio con i marò. Ma non lo faranno: bisogna avere gli attributi per contare qualcosa e il nostro Paese in questa vicenda non li ha avuti. Né mai li avrà. E la lista dei complici italiani dell'India si allungherà. Che schifo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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