
Sulle unghie di Chiara Poggi è stato trovato il Dna di Andrea Sempio. Lo dice la difesa di Alberto Stasi, lo dice la Procura di Pavia ed è abbastanza probabile che alla stessa conclusione arriverà la genetista incaricata dal gip, quindi super partes. Giallo risolto? Se ci sarà la conferma del dato, saremo alla resa dei conti che inchioderà l'amico del fratello della vittima? Non è così.
Qui entriamo in un campo che è lontano anni luce dai toni da talk show sulla "Garlascheide". Ma anche dalle conoscenze specifiche della maggior parte dei magistrati e degli investigatori. Cioè quello del reale valore della prova scientifica in un caso come Garlasco, alla luce delle tanto citate "nuove scoperte scientifiche". Che non significa per banalizzare che negli ultimi 18 anni (per la scienza, un'era geologica) sono stati inventati strumenti da laboratorio più potenti. È tutto molto più complesso.
Non siamo più davanti a uno scenario tipo: c'è il Dna dello stupratore sulla biancheria della vittima. Oppure: c'è il sangue dell'assassino sugli abiti dell'accoltellato. Casistiche, queste, ideali e univoche. Siamo su un altro pianeta, quello descritto dal giudice Giuseppe Gennari, esperto di prova scientifica, per Sistema penale.it. Partiamo dalla base. Nel processo penale il genetista produce un dato scientifico e il giudice ne trae il significato probatorio e lo combina con le altre prove.
Vent'anni fa al giudice arrivavano, con le possibilità tecniche di allora, solo rapporti relativi a materiale biologico abbondante, non degradato, non misto. Un risultato facile da gestire per il giudicante. Oggi invece è possibile amplificare tracce di materiale esiguo, "sporco" e di matrice indefinita (sangue, sperma, sudore...). E però riferibili a una determinata persona. Questi campioni "in condizioni estreme per qualità/quantità" hanno bisogno della "mediazione interpretativa" dell'esperto, che ricorre a modelli statistici e software per la comparazione con le "frequenze alleliche" (gli alleli sono le diverse forme che un gene può assumere) della popolazione di riferimento. Scrive Gennari: "Il miglioramento incredibile delle capacità di analisi del materiale genetico ha anche portato a un incremento dell'incertezza del risultato; o quantomeno a una maggiore complessità nella valutazione della sua attendibilità".
Spieghiamo: il Dna del sospettato è stato trovato - e questo è un dato certo - sul luogo del delitto. Ma in quale circostanza e quando ci è arrivato? È obbligatorio considerare la possibilità di una contaminazione, di un trasferimento secondario, terziario e così via. Il significato probatorio della prova scientifica quindi è totalmente differente rispetto al passato. Entrano in campo valutazioni come il "rapporto di verosimiglianza" ("LR, likelihood ratio") e l'"activity level", cioè il livello dell'attività umana che ha prodotto quella traccia biologica (un contatto diretto, indiretto, un trasferimento...), determinante per stabilire i fatti. E "poiché in queste situazioni il dato scientifico non è univocamente correlato ad una certa attività umana, l'esperto deve essere chiamato a valutare le probabilità delle possibili correlazioni". Resta così un grado di "interpretabilità/incertezza".
Cosa deve fare il giudice davanti a un tale rompicapo? Può escludere dal processo fonti talmente specialistiche da non poter essere comprese neppure con l'aiuto di un esperto. O può "spingere al massimo il motore della scienza" a supporto del giudizio. E allora, in relazione all'activity level, "l'esperto produrrà una probabilità fondata sul suo giudizio soggettivo", che non vuol dire "arbitrio, ma argomentazione razionale", tuttavia "suscettibile di differenti interpretazioni".
Conclude Gennari: "Le scienze forensi stanno generando risultati assolutamente esatti dal punto di vista scientifico, ma potenzialmente e pericolosamente fuorvianti in relazione al loro valore e significato probatorio". Il Dna di Sempio sulle unghie di Chiara Poggi non chiuderà il cerchio. Tutt'altro.