La politica è uno strano campo dove non sempre l’unione fa la forza el amatematica è una opinione. A volta, infatti, tentare di fondere o mischiare in una alleanza due partiti antitetici e che per anni se ne sono dette tante non solo potrebbe non dare i risultati sperati ma addirittura creerebbe le basi per un disastro, elettoralmente parlando. Un discorso, questo, strettamente legato al Pd. Nel partito guidato da Nicola Zingaretti si è aperto un acceso dibattito in merito alla possibilità di stringere accordi strutturali con il Movimento 5 stelle, dopo il via libera arrivato dalla piattaforma Rousseau, per le prossime elezioni amministrative. Tra i dem ci sono posizioni diverse sulla questione: c’è chi è favorevole all’ipotesi di una intesa, addirittura iniziando la nuova avventura già nel voto di settembre, ed altri che si mostrano contrari tanto da arrivare a chiedere un congresso nel 2021 per riaffermare l'identità riformista del partito. Infine c’è chi è più cauto e segnala la necessità di concentrarsi prima sul prossimo appuntamento elettorale, rivendicando anche i risultati raggiunti nell'ultimo anno dalla leadership del Nazareno. Un modo prudente forse per capire se davvero vale la pena unirsi a Grillo e ai suoi uomini.
Il caos sembra regnare sovrano nel Pd. Il segretario Nicola Zingaretti è dovuto intervenire con un post su Facebook nel quale ha puntualizzato che gli eventuali accordi con M5S saranno frutto di "un processo nel quale stare, combattendo con la nostra identità". Parole che tengono aperte ogni prospettiva e che mirano a calmare gli esponenti dem particolarmente restii ad una alleanza organica con i pentastellati. Il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, esponente di Base riformista, in un intervista su Il Foglio aveva spiegato che "ci confronteremo con questa novità nei prossimi mesi. Senza avere però la pretesa di annullare o azzerare quelle profonde e radicali differenze politico-culturali che esistono tra noi e i Cinquestelle, che rimangono tutte e che danno un carattere tattico alla nostra alleanza, molto distante da quella rappresentazione di un'alleanza prospetticamente stabile perché genetica e culturale".
Più duro il sindaco di Firenze Dario Nardella: "Io non ho pregiudizi di principio, ma annunciare patti politici alla vigilia di qualche elezione, come fatto in Umbria, è più una tattica miope che il frutto di un serio progetto politico. Se si vogliono fare passi politici strategici, non basta qualche intervista sul giornale, si abbia il coraggio di coinvolgere ed ascoltare iscritti, amministratori ed elettori con un congresso, vero, di nome e di fatto. Certo non ora in cui dobbiamo essere tutti concentrati per battere le destre nelle elezioni regionali e comunali del 20 settembre. Ma dopo, se si vorranno prendere decisioni talmente cruciali, sarà inevitabile prepararsi a un congresso per darci un nuovo profilo riformista". "La suggestione di Dario Nardella -plaude il capogruppo al Senato, Andrea Marcucci- merita grande attenzione. Ipotizzare un congresso tematico del Pd nel 2021 può essere un'ottima idea per rilanciare la forza aggregante del riformismo".
Ma gli ultimi avvenimenti politici hanno insegnato che in politica nulla è impossibile. I vecchi odiati nemici possono diventare fidati alleati in qualsiasi momento, soprattutto se l’obiettivo comune è quello di vincere le elezioni e tenersi le poltrone. Ma il desiderio di una vittoria alle urne può far dimenticare il rischio di vedere annullata o annacquata una identità politica? Domanda difficile che non ha una risposta precisa. Le parole degli esponenti dem più cauti in merito alla alleanza con il M5s suscitano la dura reazione del vicesegretario Andrea Orlando: "Che ne dite di fare la campagna elettorale prima e parlare di assetti interni poi?" "Sarebbe molto meglio - gli fa eco Michele Bordo, vicecapogruppo alla Camera- se, anziché parlare di congresso, ci concentrassimo tutti sulla campagna elettorale. Mi permetto tuttavia di ricordare, specie a chi era nel gruppo dirigente che guidava il partito allora, che solo due anni fa il Pd era isolato e fuori da ogni processo politico, mentre oggi siamo centrali nell'esperienza di governo e in crescita nei sondaggi".
Ma non va dimenticato che tentativi di creare fin dalle elezioni di settembre un patto tra Pd e pentastellati ci sono. Come nelle Marche, una delle Regioni al voto tra poco più di un mese, dove si lavora sotto traccia ad un accordo. Nella storica roccaforte rossa, dem e 5s presentano due candidati: Maurizio Mangialardi, presidente Anci Marche, in corsa nelle fila Pd, e Gian Mario Mercorelli, scelto dalla piattaforma Rousseau. Sembra che il Pd locale abbia avanzato la proposta di un’alleanza con i grillini che prevedeva incredibilmente un ticket a guida tutta democratica. Proposta respinta. "Non c'è una condivisione programmatica, soprattutto sulla sanità pubblica - confida una fonte del Movimento marchigiano - quindi l'ipotesi di ticket non esiste". Accordo fatto, invece, a Pomigliano d'Arco, città natale di Luigi Di Maio: nella città campana Pd e M5S convergono sul nome di Gianluca Del Mastro che correrà per la poltrona di sindaco.
Zingaretti, nel frattempo, prova a spiegare:"Sull'esito della votazione nella piattaforma Rousseau da parte della base del Movimento 5 Stelle -premette- si sta generando troppa confusione. Non sempre senza malizia e, spesso, con una buona dose di strumentalità si fanno ricostruzioni fuorvianti". "L'eventuale decisione di costruire un accordo o meno – ha specificato il leader Pd- è ovviamente delegata a processi politici locali e all'individuazione di candidati credibili da sostenere per vincere. Un processo nel quale stare, combattendo con la nostra identità…. Nessuna voglia di 'esultare’ per questo risultato, ma, avendo nei Comuni e Regioni sistemi elettorali maggioritari, soddisfazione sì. Credo sia lecito esprimerla perché si allarga la possibilità di costruire alleanze. A meno che siamo arrivati al punto di augurarci che sarebbe meglio avere i partiti nostri alleati tutti contro nei territori, nelle battaglie per i sindaci e i presidenti di Regione".
Il segretario dem ricorda:"Alleati e non avversari. Ripeto: è quanto abbiamo detto dal primo giorno. Proprio perché forti delle nostre idee, vogliamo farle vincere nei processi reali, politici e sociali che ci sono e non solo declamarle nelle interviste e nei tweet. Questo impegno è molto più complesso e impegnativo ma è molto più utile all'Italia". Bisognerebbe capire a quale "primo giorno" si riferisce Zingaretti visto che quando il governo giallo-verde (M5s-Lega) appariva stabile garantiva che mai ci sarebbe stata un’alleanza con i grillini. "Mi sono stancato di dire che non intendo favorire nessuna alleanza con i Cinquestelle, i 5 stelle li ho sconfitti due volte, imparassero a sconfiggerli pure loro quelli che mi accusano di questo.
Piantiamola con le caricature, io non le faccio sugli altri. Perché altrimenti è come la fine di War Games: fine del gioco", gridava dal palco della Convenzione nazionale del Pd il 3 febbraio del 2019 il segretario dem. Poi tutto è cambiato.
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