Eliminata da un missile Jamila Al-Shanti. La prima donna nel politburo di Hamas

La vedova di Rantisi, fondatore del gruppo con lo sceicco Yassin, uccisa in un raid, come il marito nel 2004. Considerata tra le menti dell'attacco del 7 ottobre

Eliminata da un missile Jamila Al-Shanti. La prima donna nel politburo di Hamas
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Jamila Al-Shanti me la ricordo bene. Quando, nei primi anni Duemila, suonavo alla porta di suo marito Abdel Azizi Rantisi, al tempo numero uno di Hamas a Gaza, veniva lei ad aprire la porta di casa e faceva accomodare me e la mia interprete nello studio del leader islamista. Jamila parlava un buon inglese ed era, almeno nelle movenze, assai diversa dalle mogli degli altri leader di Hamas. Non era un semplice fantasma velato. Di certo non voleva esserlo. E si capiva. Per quanto coperta da testa a piedi non si tirava indietro quando si trattava di introdurre i giornalisti e gli ospiti stranieri.

Poi arrivava lui, il «leone di Gaza» - come lo chiamavano i suoi fedelissimi - e la musica cambiava. Negli anni Ottanta Abdel Aziz Rantisi era stato uno dei due fondatori di Hamas assieme allo sceicco Ahmed Yassin. Non era solo un capo politico. Lo si intuiva dai modi e dalle parole. Lui gli israeliani li chiamava semplicemente ebrei. E nel disprezzo con cui pronunciava quella parola c'era la misura di quanto li odiava. Sapeva che prima o poi lo avrebbero ammazzato. Ma non se ne faceva un cruccio. «Nessuno di noi - ripeteva - teme di morire. È l'obiettivo della nostra vita e della nostra lotta contro Israele». Me lo ripetè anche quel 22 marzo 2004 quando incontrai per l'ultima volta lui e sua moglie Jamila. Anche quel giorno non si risparmiò: «La nostra battaglia - mi promise - si estenderà dal Golfo all'Oceano Atlantico». Neanche un mese dopo, il 17 aprile 2004, un missile israeliano colpì la sua auto uccidendo lui e Mohammed, il 26enne figlio primogenito.

Da quel momento anche la vita di Jamila cambiò. Subito dopo i funerali e il lutto iniziò quel cammino che l'ha portata a seguire in tutto e per tutto la parabola del marito. Fino a quando, ieri, anche la sua vita è stata cancellata da un missile israeliano. Non è chiaro perché Israele abbia deciso di eliminarla. Ma per capirlo basta forse la sua biografia.

Di certo Jamila non si accontentò di essere semplicemente la vedova e la madre di due shahid, due martiri. A differenza di tante altre vedove dell'organizzazione raccolse l'eredità del marito e la porto avanti al femminile. Dopo aver fondato il movimento delle «donne di Hamas», si presentò alle elezioni del 2006 e fu una delle poche candidate femmine elette nelle liste del movimento islamista. La scalata ai vertici dell'organizzazione non si fermò lì.

Nel 2021 Jamila diventa, infatti, la prima donna ammessa nell'ufficio politico di Hamas. Quella promozione è probabilmente anche la sua condanna a morte. Una donna ammessa nel «sancta sanctorum» di un gruppo come Hamas non può essere soltanto una semplice militante politica. Per raggiungere da donna quel ruolo deve necessariamente diventare partecipe dei segreti non solo militari, ma anche politici ed economici dell'organizzazione.

E deve condividerne gli obiettivi. Fra questi anche l'assalto terroristico del 7 ottobre costato la vita a 1.400 israeliani. Quanto basta per ritrovarsi inserita nella lista dei capi di Hamas. E venir condannata a seguire il medesimo destino del marito.

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