Ergastolo per Rosa e Olindo. I Castagna: "Dimenticateci"

No alla revisione del processo: "Prove inammissibili". Il pg: "In tanti non hanno studiato gli atti". I familiari delle vittime: "Sogniamo l'oblio"

Ergastolo per Rosa e Olindo. I Castagna: "Dimenticateci"
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Il caso è chiuso, la vicenda finisce qui. Cassazione permettendo. La Corte d'Appello di Brescia ha rigettato la richiesta di revisione del processo presentata dai legali di Olindo Romano e Rosa Bazzi, i coniugi condannati in via definitiva all'ergastolo per la strage di Erba in cui morirono Raffaella Castagna, suo figlio Youssef Marzouk di appena due anni, la madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini.

In un Palagiustizia di Brescia gremito dal pubblico delle grandi occasioni ci si aspettava forse una giornata più lunga, contraddistinta da discussioni, repliche e possibili rinvii. Invece alle 10,12 la Corte era già ritirata in camera di consiglio e prima delle 15 è arrivata la decisione: nessuna revisione.

Olindo Romano e Rosa Bazzi erano e restano ergastolani. Per i giudici le presunte «prove nuove» presentate dalla difesa in realtà non sono utili né sufficienti per rivedere il vecchio verdetto. Sono bastate tre udienze per liquidare la pratica e chiudere il capitolo della speranza per i coniugi - un anno dopo la prima istanza di revisione presentata dal sostituto procuratore generale della Repubblica di Milano, Cuno Tarfusser, e nove mesi dopo la seconda richiesta di revisione depositata dagli avvocati di Olindo e Rosa. Non c'è spazio neppure per la terza, presentata nei giorni scorsi, sui presunti legami fra la strage e affiliati alla ndrangheta.

Sono loro gli autori della strage dell'11 dicembre 2006 a Erba. Sono loro ad aver ucciso la loro vicina di casa, Raffaella Castagna, il figlio di due anni Youssef e la madre Paola Galli, oltre alla vicina di casa Valeria Cherubini che stava rientrando con il cane proprio nel momento in cui loro uscivano dall'appartamento di Raffaella dopo i primi tre omicidi. È stato Olindo a sgozzare Mario Frigerio, il marito di Valeria, che da sopravvissuto rilasciò testimonianze decisive per far condannare Rosa e Olindo. Questo ribadisce la Corte.

A margine dello show mediatico-giudiziario è un pullulare di dichiarazioni: ci sono quelle rilassate, soddisfatte e ci sono quelle rilasciate col viso tirato e paonazzo. Spera ora nell'oblio Giuseppe Castagna, familiare di tre delle quattro vittime della strage di Erba: «Ero convinto di questa sentenza, non poteva essercene un'altra, ma un po' di paura c'è sempre. Sono soddisfatto e spero che almeno per un po' di tempo, in attesa che la difesa si rivolga e discuta il ricorso in Cassazione, io e mio fratello Pietro vivremo una vita un po' meno stressante». Sulla stessa linea le parole di Massimo Campa, il legale dei fratelli Castagna: «Noi avevamo fiducia, non avevamo paura della verità, non avevamo dubbi. Vorremmo che le vittime potessero riposare in pace e confidiamo che oggi sia finito questo rimestare le stesse carte, perché di prove nuove non ce ne sono».

Più dettagliato sui tecnicismi giuridici Domenico Chiaro, l'avvocato generale dello Stato che lo scorso marzo definì Olindo degno di un Oscar per la sua ritrattazione: «Si era diffusa la vulgata secondo cui tutte le sentenze si basavano solo su tre indizi, invece fin dall'inizio vi era una piattaforma indiziaria che conduceva a Olindo Romano e Rosa Bazzi». Una pista che «inevitabilmente portava a loro due» e «non era possibile alcuna pista della criminalità organizzata». Sullo stesso tenore il procuratore generale di Brescia Guido Rispoli. «Siamo soddisfatti dalla decisione della Corte d'appello. Il processo di revisione ha regole molto precise. Gli atti vanno studiati dalla a alla z, ho l'impressione che molti di quelli che hanno argomentato in aula non avessero letto le carte. È pacifico che le ferite» alle vittime «erano state inferte da due persone diverse». I colpi sferrati «dal basso verso l'alto avevano, come evidenziato dai tecnici, una penetrazione ridicola di un paio di centimetri che si fermava all'adipe». Una «manifestazione di odio» da parte di chi colpiva.

Si augurava un epilogo diverso Azouz Marzouk, marito di Raffaella e padre del bimbo. «Gli assassini sono ancora in giro», ha detto all'uscita del tribunale.

Tredici anni dopo la condanna definitiva e a 17 dalla loro incarcerazione arriva la parola fine ad uno dei casi più clamorosi della storia giudiziaria italiana. Ma fuori dai tribunali - questo è sicuro continueranno a vivere le fazioni degli innocentisti e dei colpevolisti.

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