Stelle a cinque punte, minacce, scritte sotto sopra. «Non credo sia il preludio al ritorno agli anni Settanta ma non sottovalutiamo questi imbecilli perché le derive si inseriscono sempre nelle smagliature della coscienza pubblica». Gianni Oliva è uno storico di sinistra, si definisce «votante, non più militante»: «Ho trovato assurdo fare campagna elettorale sull'antifascismo, così come trovo assurdo gridare al lupo, al lupo. Non mi piace quel che ha detto Lorenzo Fontana né i trascorsi di Ignazio La Russa ma nessuno ha messo in discussione la legittimità con cui sono stati eletti presidenti di Senato e Camera. Il 28 ottobre ricorreranno i 100 anni dalla Marcia su Roma. Quella data dovrebbe essere l'occasione per un ragionamento su cosa è stato il fascismo».
Ce lo dica lei...
«Un atto rivoluzionario? Una spallata al regime liberale? No. Togliamo il fascismo dalla rappresentazione che ne è stata fatta finora. Non per rivalutarlo o fare una revisione in senso positivo. Il fascismo nasce con un governo di coalizione ma dietro ha il mondo liberale e moderato. Quando Mussolini giura alle Camere nel suo governo di coalizione ci sono tre ministri fascisti, due popolari, due democratico-sociali e un giolittiano. Prende 359 voti, con soli 116 no. Nessuno ha avuto una maggioranza così bulgara. Pensavano fosse l'uomo necessario per rimettere le cose a posto, anche per evitare derive filosovietiche. Erano convinti che dopo due anni si sarebbe potuto metterlo da parte, poi le cose sono andate diversamente».
E perché è durato 20 anni?
«Il fascismo ha fatto tanti danni ma il fascismo erano gli italiani. Il 10 giugno 1940, quando siamo entrati in guerra, le piazze erano piene ovunque, non solo a Roma, da gente educata a certi riti, a certi valori. Il fascismo era un'intera classe dirigente. Non era Mussolini a tenere unito insieme il Paese col fil di ferro, non c'era solo la repressione ma la seduzione di un modello totalitarista che poi ha fatto scuola, basato sul controllo di formazione e informazione».
Come ha fatto la sinistra negli ultimi anni...
«Con la differenza che la sinistra ha occupato un campo in cui altri avevano abdicato, mentre nel Ventennio non c'erano abdicazioni ma spazi preclusi».
Chi ha criticato la Resistenza è stato messo all'angolo...
«La Resistenza è stata un alibi. Fatta da una minoranza, per lo più al Nord, e usata dalla maggioranza per far finta di aver vinto la guerra. Tacere la sconfitta, negare le foibe, è servito a normalizzare il Paese in chiave antisovietica».
Quand'è che faremo pace con la Storia?
«Quando finiremo di prendercela con i fascisti che diventano repubblichini, quando immaginiamo di poter ascrivere tutte le colpe a Mussolini e al Re per rifarci una verginità, quando smetteremo di mettere le bandierine sul passato».
Perché è fallito il tentativo di Violante e Ciampi tra il 1996 e il 1999?
«Quelle aperture sono state solo trangugiate, non assimilate».
Gli autori delle scritte sono altri compagni che sbagliano?
«Non ci sono stati compagni che sbagliano o cattivi maestri. Sono nato nel 1952, ho fatto tutti i cortei del Sessantotto. Ho sentito scandire gli slogan più truci. Tra chi urlava allora quelle frasi c'è chi pontifica oggi. Non possiamo pensare che i cattivi fossero solo quelli che hanno sparato, c'è stata una responsabilità collettiva per quelle parole in libertà. Una volta Alberto Franceschini delle Br ha affermato: Noi abbiamo fatto ciò che molti dicevano».
Qual è stata la molla scatenante?
«Bisognava modernizzare il Paese e mettere in sintonia le due velocità, il Sud rurale e l'Autostrada del Sole, chi schiaffeggiava una donna per un decolleté e chi aveva il telefono a casa. Il centrosinistra di Moro, Fanfani e Nenni ha nazionalizzato l'energia, creato la scuola media... e basta. Tutte le riforme la sinistra le ha minacciate e discusse ma mai approvate. Quando due mondi disarmonici arrivano allo scontro scoppia il Sessantotto che si salda con l'autunno caldo del 1969».
Come facciamo a fare i conti con il passato ed evitarne il ritorno?
«I ragazzi non sanno nulla di Piazza Fontana o di Moro. Insegniamo nell'ultimo triennio della scuola superiore la Storia dalla Rivoluzione francese ai giorni nostri. L'esecrazione morale degli -ismi non vuole dire niente».
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