«Sarebbe un bene per l'Unione europea se Giorgia Meloni finisse nel Ppe». Parola di Alberto Núñez Feijóo, presidente del Partido Popular che domani - questo dicono sondaggi e osservatori - dovrebbe uscire vittorioso dalle elezioni politiche anticipate che si terranno in Spagna. Non sono certo parole dal sen fuggite quelle dell'ex governatore della Galizia, che in un'intervista a El Mundo ha parole di elogio verso la premier italiana. Il leader del Pp, infatti, pur ribadendo di «non condividere il programma di Vox» e insistendo sul fatto che «mettere in piedi un governo di coalizione» con la formazione di destra di Santiago Abascal «non sarebbe la scelta migliore per la Spagna», sa bene che l'eventualità non è affatto remota. E che, anzi, è altamente probabile che le urne consegnino al Partido Popular una maggioranza non assoluta, con i seggi di Vox che molto probabilmente saranno determinanti per la nascita del nuovo governo.
Così, l'assist a Meloni va letto soprattutto in chiave interna, un modo per iniziare a tendere la mano ad Abascal. Vox, infatti, in Europa milita nel partito dei Conservatori riformisti, di cui la leader di Fratelli d'Italia è presidente dal 2020. Senza dimenticare che Meloni in questi anni ha stabilito un canale privilegiato con la destra spagnola, tanto che la scorsa settimana è intervenuta in video-collegamento ad un appuntamento elettorale a Valencia.
L'uscita di Feijóo, però, racconta anche di quanto siano in movimento le diverse famiglie europee in vista delle elezioni di giugno 2024. Anche se, nonostante il vento di destra, difficilmente cambieranno gli equilibri alla guida del Parlamento Ue, visto che - questo dicono gli ultimi sondaggi disponibili - il Ppe è destinato a restare il principale gruppo con circa 160 seggi e i Socialisti di S&D dovrebbero comunque ottenere circa 140. Poco sotto i 90, invece, i liberali di Renew, più o meno alla pari con i conservatori di Ecr. Insomma, altamente improbabile si possa costituire una maggioranza sull'asse Ppe-Ecr e che escluda i Socialisti (che, peraltro, sono al governo della Germania, un Paese che non è mai restato fuori dalla partita delle nomine europee). Mentre una riedizione della cosiddetta «maggioranza Ursula» (che nel 2019 portò alla nomina della von der Leyen a presidente della Commissione) resta ad oggi la soluzione più probabile.
In questo scenario, con von der Leyen che sta puntando a una conferma, è nelle cose che sia in corso una interlocuzione tra Meloni e i vertici del Ppe. Non per un ingresso di Fdi nei Popolari europei, ovviamente. Quanto perché Meloni non può certo permettersi di non giocare un ruolo quando, dopo le Europee di giugno, si decideranno i vertici di Parlamento, Consiglio e Commissione Ue. Sarebbe non solo impensabile ma anche autolesionistico, infatti, che la presidente del Consiglio di un Paese del peso dell'Italia restasse alla finestra.
E chissà che Feijóo non si riferisca anche a questo quando nel colloquio con El Mundo si dice convinto che «in futuro Meloni potrà avere maggiori contatti con il Ppe». Perché, aggiunge, «da quanto mi dice l'amico Antonio Tajani, sono convinto che le sue posizioni preoccupino molto meno» l'Europa «rispetto a quando è stata eletta». E proprio il ministro degli Esteri, ieri è intervenuto sulla vicenda, spiegando che a suo avviso Meloni «vuole continuare a guidare i Conservatori europei».
Il vero punto d'incontro, se a giugno il quadro rimanesse quello attuale, potrebbe essere invece una convergenza di Fdi sulla conferma
della popolare von der Leyen alla presidenza della Commissione. D'altra parte, le due sembrano aver stabilito un'ottima intesa, confermata anche dalle due trasferte insieme in Tunisia per firmare il memorandum con Kais Saied.
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