Il fascismo, o meglio quella parte di fascismo che pretende di fare della politica, dimostrerà dunque - dopo avere avuto in dispregio sommo le nominologie e i nominalismi ed aver avuto il coraggio di chiamarsi rivoluzionario e reazionario, democratico ed aristocratico - dimostrerà dunque di essere schiavo di folle terrore davanti a una parola: «partito»? Siamo davanti a una parola diabolica che non bisogna impiegare? Siete pregati, cari contraddittori, di non riportarvi al 1919, poiché il confronto mancherebbe di ogni qualsiasi serietà. Nel 1919, il fascismo si riduceva ad un pugno, veramente un pugno, di uomini di tutti i partiti: c'erano socialisti, repubblicani, anarchici, sindacalisti, democratici. In queste condizioni, il fascismo, raccogliendo uomini di tutti i partiti, non poteva essere che un antipartito. È di un'evidenza cristallina. Ma in questi due anni di tempestose battaglie è accaduto nel fascismo un fenomeno di esodo di taluni elementi, un fenomeno di entrata, quasi invasione, di altri. C'è stato un travaglio formidabile di selezione in mezzo a noi. Gli avvenimenti precipitavano a poco a poco le situazioni. Avendo il fascismo, sin dal 1919, preso netta posizione contro la politica estera rinunciataria, ci fu un primo esodo: quello dei democratici wilsoniani. Successivamente, avendo il fascismo osteggiato taluni scioperi politici di ferrovieri e impiegati statali, se ne andarono dalle nostre file tutti gli elementi che non avevano potuto bruciare i ponti dietro il loro passato di sovversivi più o meno estremi. Naturalmente gli elementi che si perdevano da una parte, si riguadagnavano dall'altra. Non si può affermare che questo travaglio di chiarificazione sia compiuto, mentre è in corso la crisi provocata dal trattato di Roma; ma è certo che oggi il vecchio conglomerato del 1919 è scomparso e il fascismo è venuto via via assumendo una sua precisa e inconfondibile individualità. Rendersi conto di questo processo, che ha avuto conseguenze nell'organizzazione interna dei Fasci (si sono costituite ovunque le Federazioni provinciali, si sono ovunque elaborati degli statuti, si sono diffusi i distintivi, ecc., ecc.), significa convincersi che il partito è già un fatto compiuto, forse già troppo compiuto e che è puerile ostinarsi a negare questa vivente realtà.
Un altro elemento della situazione da porre nel dovuto rilievo è il seguente. Il fascismo non ha limitato la sua azione al campo strettamente politico-militare, ma ha straripato nel campo economico-sociale, tentando di creare un movimento sindacale e cooperativo. Questo movimento perirà se il fascismo non si darà l'organizzazione di partito. La nostra profezia è facile perché i segni abbondano.
La ragione fondamentale - e trascuriamo le minori altre, come quella del fascismo parlamentare - del partito è questa: quando un movimento da contingente - qual era il fascismo nel 1919 - diventa trascendente; quando assume caratteri di finalismo, esso diventa partito. O altrimenti decade e muore.
Io comprendo l'antipatia per la parola «partito», poiché essa, specie in Italia, suscita impressioni di chiesuola, di inquisizione, di dogmatismo e di camorra; ma quest'antipatia non basta a giustificare un atteggiamento di pregiudiziale opposizione. Partito pur si chiamava quel Partito d'Azione, che, durante il Risorgimento, mantenne viva, colla vita e colle opere, la fede nella redenzione nazionale; partito non aveva timore di definirsi quel Partito della Destra Storica, che tracce così profonde ha lasciato dal '60 al '70 nella storia italiana.
Noi abbiamo il torto di guardare solamente ai partiti socialisti o ai democratici. Ci fa ribrezzo il demagogismo dei primi e l'inconsistenza degli altri. Ma ecco, proprio in Italia, un partito, quello Repubblicano, che ha un secolo di vita ed è certamente, per il glorioso e sanguinoso contributo dato alla causa italiana dal 1821 al 1918, degno di ogni rispetto e ammirazione; il che aumenta il nostro rammarico di vederlo accodato, sotto le suggestioni dell'ora, a quel sovversivismo antieducativo che Giuseppe Mazzini, a suo tempo, acerbissimamente fustigò.
Signori, che vi aggrappate ad una pregiudiziale, quella dell'antipartito ad ogni costo, siete pregati di considerare che il partito non è sempre e necessariamente un soffocatore dell'ideale. Lo spirito fascista, se esiste, non evapora costringendolo nel partito. Al contrario! Il bolscevismo - idea che ha infiammato milioni di uomini in ogni parte del mondo - è diffuso, sostenuto, predicato da un «partito», organizzato e sottoposto ad una disciplina ferrea. Il clericalismo, quando ha voluto «agire» nella storia contemporanea, si è dato anima e corpo di partito. Credere che la bellicosità fascista debba soffrirne, è assurdo. Gli altri partiti, dai comunisti ai cattolici, hanno costituito le loro squadre d'azione, di difesa e di avanguardia, copiando il fascismo. Se questo è stato possibile in partiti più o meno antifascisti, perché non dovrebbe essere possibile nel fascismo divenuto partito?
Nella natura e nella storia, si va sempre da un indistinto ad un distinto; da un amorfismo caotico ad una differenziazione sempre più precisa. Più si sale nella scala, e più ciò risulta evidente. Individualità significa differenziazione. Più è sviluppato l'organismo e più è differenziato. Il fascismo non può sfuggire a questa legge di bronzo e non deve quindi nutrire ansie e preoccupazioni di natura squisitamente misoneistica e conservatrice-reazionaria, ostinandosi a chiamarsi «movimento» quando è già «partito», ostinandosi in un'ambiguità ormai insostenibile.
Il partito è un gesto di coraggio. È un segno di giovinezza e di vitalità. È un fatto di fede, poiché dimostra che il fascismo può accingersi ad un lavoro positivo in vista del raggiungimento di mediati e immediati ideali; e questo smentirà in pieno tutti coloro che non ci ritengono dotati di altre virtù all'infuori di quelle d'ordine pugilistico.
È tempo di tracciare il solco di divisione attorno alla nostra città quadrata. Questo e non altro è il partito. Questo significa salvare il fascismo in ciò che ha di vivo e immortale e prepararlo al compito supremo di domani: il governo della nazione.9 ottobre 1921
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