Facebook cattivo non va Il disprezzo non è social

L'ultima funzione accontenterà solo chi gode delle disgrazie altrui. Condividere deve restare un piacere

Il pulsante «non mi piace» rischia di essere il boomerang di Facebook. Perché smentisce il principio numero uno del social network fondato da Mark Zuckerberg: condividere. E ciò che la società ha deciso di non condividere più è il rischio. Il rischio di un fallimento, seppur piccolo come quello di un post su Facebook. Domanda: se mi espongo alla possibilità che qualcuno dica pubblicamente che non gli piace una foto o un pensiero che ho appena postato lo metterò in rete? No. Così probabilmente ci guadagniamo noi, l'ordine complessivo delle cose e magari il buonsenso.

Chi può rimetterci è Facebook stesso, che fonda il proprio successo sulla voglia infinita di visibilità, sulla vanità, sulla necessità di sentirsi parte di qualcosa. Qui il qualcosa è un gruppo di amici, magari lontani nel tempo e nello spazio, che grazie al social si tiene in contatto, oppure due sconosciuti che trovano il terreno comune da condividere.

In molti godono delle sfortune e delle disgrazie degli altri: costoro sono quelli a cui il «non mi piace» è rivolto. Appaga la loro sete di rivalsa a prescindere, quel sadismo che fa stare bene se qualcun altro sta peggio.

Ma il problema a questo punto è alla fonte: la spinta emotiva al cazzeggio tipico di Facebook si fonda sul presupposto che ciascuno è libero di rendersi ridicolo senza subire particolari conseguenze. È vero che tutti, anche oggi, possono scrivere e umiliare chiunque, ma devono avere voglia e tempo di mettere giù un pensiero.

Il pulsante, invece, è comodo, immediato, facile. Non ha coscienza. L'abbiamo visto in molti casi in cui qualcuno posta cose aberranti (tipo annunciare o rivendicare un omicidio, come è successo di recente) e in poche ore prende decine di «mi piace». Si clicca quasi per riflesso, quindi immaginate quanti «non mi piace» entreranno presto nelle pagine di ciascuno di voi. A volte meritati, molte altre no: saranno figli di invidie, di dispetti, di rivalse, di piccoli sgarbi.

L'effetto sarà un imbarazzo generale, e anche questo è un cortorcircuito con l'idea stessa che ha fatto nascere Facebook: far crollare

timidezze e soggezioni grazie alla distanza creata dal monitor del computer o dallo smartphone. Con il «non mi piace» comincia l'era del cattivismo che riesce a essere peggio del buonismo. È giusto un passo prima della fine.

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