I falli di reazione di Conte contro Draghi e Pd, dopo il flop sulle nomine Rai, rischiano di portare il governo nel pantano. La guerriglia Pd-Cinque stelle sta scatenando un vero e proprio Vietnam parlamentare. Conte scarica sull'esecutivo la frustrazione di una leadership (la sua) debole. Il premier Draghi è stufo e non tollera più ritardi sull'agenda di governo. La guerra di logoramento di Conte contro l'esecutivo si muove nei due rami del Parlamento. Alla Camera dei deputati, il presidente Roberto Fico, unico vero alleato dell'avvocato di Volturara Appula, si è messo in testa di fare «il Fini di Draghi». A Palazzo Madama, i Cinque stelle bloccano la nomina del senatore Vasco Errani come relatore di centro-sinistra per la legge di bilancio. Risultato: ancora un rinvio. L'ufficio di presidenza della commissione Bilancio scioglierà il nodo dei relatori della manovra la settimana prossima. Il M5s chiede tre relatori: uno al centrodestra, uno al M5S e uno al Pd. I dem ne vogliono due. Giovedì sera il ministro per le Politiche agricole Stefano Patuanelli ha convocato una riunione con i senatori grillini per trovare un punto d'intesa. Un veterano come il senatore dem Luigi Zanda avverte: «Sta nelle mani grilline rafforzare o indebolire l'alleanza giallorossa. Le ultime mosse sono state maldestre e rifiutare di votare Errani relatore alla manovra è un grave errore politico. Se avanti così dopo il voto sul Colle si va a elezioni». Un brivido percorre lungo la schiena dei parlamentari grillini quando si evoca la parola «elezioni». Accuse che però il vicecapogruppo al Senato dei Cinque stelle respinge: «Registriamo in queste ore alcune accuse del tutto infondate e fuori luogo al M5s a proposito della gestione della Legge di bilancio in Senato, con particolare riferimento alla non ancora intervenuta individuazione del relatore. Si tratta di accuse strumentali» ribatte Marco Pellegrini. Al netto del botta e risposta il risultato è il rinvio. Tradotto: le fibrillazioni Pd-M5s frenano l'azione del governo. Conte scalpita, si agita e cerca l'incidente. Non riesce a digerire il boccone della mancata riconferma al Tg1 di un direttore gradito al M5S. Vuole far saltare il banco. I pericoli maggiori però per l'esecutivo si nascondono nell'Aula di Montecitorio. La lettera di protesta spedita da Fico a Draghi sulla mancata trasmissione alla Camera della documentazione relativa al caso Alitalia è un pizzino di Conte: il numero uno di Montecitorio, nel Movimento fa asse con l'ex premier contro la coppia Di Maio-Spadafora. Il sospetto ora è che Fico si sia messo a fare il Fini. Il paragone è con Gianfranco Fini che nel 2010 dalla poltrona della terza carica dello Stato iniziò una guerra di logoramento per mandare a casa il governo Berlusconi. Da cosa nasce il sospetto? C'è un parlamentare grillino che racconta al Giornale l'antefatto della lettera: «Se Fico non avesse voluto lanciare un segnale a Draghi avrebbe spedito una lettera riservata.
La nota è stata spedita a tutti i presidenti di commissione. L'obiettivo finale era finisse in mano alla stampa». Il segnale è chiaro. Un avvertimento per Draghi. Conte può fidare sul appoggio di Fico per mettere in atto le manovre contro l'inquilino di Palazzo Chigi.
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