Immaginiamo che l'ergastolo ce l'abbia dentro, senza diritto di sollievo: fine pena mai. Immaginiamo che sia trafitta da un dolore che è un mal di denti sparso per il corpo ogni volta che le viene un pensiero con lui dentro. Ogni volta che pensa a Samuele. Ma intanto, la Franzoni è una donna libera. Almeno lo è il suo corpo. Com'è che dicono? Il corpo è un regalo, l'anima è una conquista. Ecco: nulla sappiamo della sua anima, ma sappiamo che adesso può portare il suo corpo dove le pare: al mercato, a scuola degli altri due figli, al mare... può portarlo a vivere. Dopo una pena di undici anni. Ne avrebbe dovuti scontare sedici per l'omicidio di suo figlio Samuele, che allora, nel 2002, aveva tre anni. Ma indulti, liberazioni anticipate, domiciliari... «Eh ma era già libera da un po'» pare abbia commentato il suo legale. Undici anni per aver sfondato la testa del proprio bambino, sono evidentemente la pena che la legge ritiene di dover infliggere. Ma pensare alla Franzoni (già) libera è anche come sentire i nervi che scivolano sulla carta vetrata.
Per quanto ci sforziamo di essere migliori, è tutto ciò che riusciamo a sentire. Perché oggi Samuele avrebbe vent'anni e sia benedetto, ovunque stia crescendo. Perché ce lo ricordiamo in quella foto in cui era tutto occhi, ce lo ricordiamo nelle ricostruzioni degli inquirenti, nelle immagini di quelle tute bianche fuori dallo chalet di Cogne. Con le stagioni che cambiavano, la neve e poi i prati secchi e poi di nuovo l'inverno. C'era tutta Italia sintonizzata su quel delitto, in mezzo a quelle montagne dove il silenzio è ancora il dialetto più parlato. Ci ricordiamo la tomba di Samuele nel piccolo cimitero al bordo del paese. E di nuovo, quelle case in legno con i tetti di pietra e le finestre chiuse. Quelle case isolate dal resto che sembravano fluttuare, in esilio da qualsiasi geografia. Avremmo solo voluto vedere il colpevole, un colpevole, indossare il cilicio della penitenza perpetua. E quando i sospetti hanno iniziato a stringersi attorno alla madre del piccolo, abbiamo iniziato a pensare che nemmeno questo ci sarebbe bastato. Per la Franzoni, a quel punto, avremmo voluto di più, di peggio. Perché prima ci aveva fatto credere di essere stata l'altra vittima di quel massacro. Spaesata, piangente, protetta da un devotissimo marito, da una famiglia clan e all'inizio dagli amici.
Con quella telefonata al 118 che era una litania, come lo erano le interviste rilasciate in tv, come lo era quella richiesta, rivolta al marito, di voler fare un altro figlio.
Tutto in lei era un lamento. Ed era comprensibile lo fosse, fino a quando non lo è stato più. Come Samuele, che non è più. E invece chissà come sarebbe stato adesso. Oggi, che avrebbe vent'anni e che sua madre è libera di vivere.
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