La politica torna in pista. «Riteniamo che la vita democratica debba riprendersi i suoi diritti», ha detto ieri il premier francese Edouard Philippe: si voterà dunque il 28 giugno in quasi 5 mila comuni di Francia. Eleggere i sindaci, mostrarsi all'altezza. La sfida per Emmanuel Macron è grande. Politica e di sicurezza. Il consiglio scientifico ha raccomandato all'Eliseo di «tener conto della situazione epidemiologica nei 15 giorni precedenti la data del voto», ma grosso modo i partiti concordano. Bene il secondo round delle municipali. Estivo, con restrizioni. Mascherine obbligatorie e gel disinfettanti. Gesti barriera e adesivi di separazione.
Dita incrociate, il premier sottolinea: «Data reversibile». Intanto lavora al decreto necessario per votare dopo aver lasciato i sindaci uscenti in carica laddove non c'è stata vittoria al primo turno. Dopo il contestato scrutinio di marzo, stavolta Macron chiama alle urne «solo» 16 milioni di persone. Segnale di ripresa o nuovo azzardo?
Stando al sondaggio CovidDirect di OpinionWay per Les Echos, cala la preoccupazione dei francesi nei confronti del coronavirus, nonostante 1.701 persone in rianimazione, 74 nuovi decessi in 24 ore e oltre 144 mila contagiati (28.215 i morti). «La sensazione generale è che l'epidemia sia passata», spiega Bruno Jeanbart, vice direttore dell'istituto. Tanto vale riprendersi il diritto di votare. «Scelta necessaria che permetterà un riavvio democratico, fondamentale anche per un rilancio economico territoriale», nota Emmanuel Gregoire, spin doctor della socialista Anne Hidalgo, in vantaggio a Parigi per tenersi in tasca le chiavi della capitale. L'eurodeputato lepenista Gilbert Collard ha invece scritto su Twitter che Macron organizza il voto «nell'incertezza più assoluta» per «sbarazzarsi delle municipali». Se si va oltre l'estate, bisognerebbe ripetere anche il primo turno.
Calendario fissato, elettori convocati: salvo risalita dei contagi. La data è «vicina», rassicura il premier. Sylvain Brouard, direttore del centro di ricerca Cevipof di Sciences Po, ricorda però che nella prima tornata ci fu un'aumento dell'astensione senza precedenti: +17% (55%). Il giorno dopo fece un sondaggio: «Il 57% delle persone che non hanno votato a marzo menzionava il coronavirus e il 28% ha indicato solo questo come motivo», spiega a Le Parisien. Dopo due mesi di lockdown, è difficile immaginare che i francesi si riversino in massa nei seggi. Ma la classe politica è sostanzialmente compatta. Scuole aperte? Possiamo aprire anche i seggi; con buona pace dello scienziato, secondo cui la crisi sanitaria genererà una «violazione dell'uguaglianza democratica».
Certo, ci sarebbe l'ipotesi di un voto per posta modello Oregon, Utah, Colorado o Washington. Con una busta inviata a casa come successo anche in Germania. Il 15 marzo, mentre i francesi andavano alle urne, i bavaresi votavano per i sindaci: 15 giorni dopo, il secondo turno si è svolto per corrispondenza.
«Non siamo più stupidi dei tedeschi - dice Brouard - Se loro lo hanno fatto in due settimane, credo che saremmo in grado di farlo in cinque». Ieri il ministro dell'Interno ha però ricordato che il voto postale non è più stato autorizzato in Francia dal 1975. Motivi di sicurezza.
Resuscitarlo o confidare nei gesti barriera? Per ora invita a recarsi ai seggi con una penna personale, auspicando che la campagna elettorale non diventi «un fattore di circolazione del virus». Dal XX secolo, le comunali sono state rinviate solo tre volte: durante le due guerre mondiali e nel 2007.
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