Washington I 212 deputati democratici schierati sulla scalinata di Capitol Hill. In prima fila, il loro nuovo leader, Hakeem Jeffries, ricorda il sacrificio compiuto due anni fa degli agenti della Capitol Police e della polizia di Washington: «La nostra democrazia è intatta grazie a loro». In mezzo alla folla di deputati Dem, anche le famiglie degli agenti caduti. In un angolo, un unico deputato repubblicano, Brian Fitzpatrick, della Pennsylvania. Il resto dei suoi colleghi di partito sono nella «cittadella della democrazia», impegnati in una furiosa trattativa, per impedire che il loro leader e aspirante speaker della Camera, Kevin McCarthy, venga impallinato per la quarta giornata consecutiva.
Non c'è immagine più eloquente della frattura creata all'interno della politica e della società americana dalla tentata insurrezione del 6 gennaio 2021, atto conclusivo della realtà alternativa costruita da Donald Trump dopo le elezioni «rubate» del novembre 2020. C'è anche un evidente calcolo politico nell'assenza dei Repubblicani dalla scalinata del Campidoglio. Gran parte della pattuglia dei venti ribelli dell'ultra destra, che hanno finora negato a McCarthy lo scranno che fu di Nancy Pelosi, sono dei «negazionisti». A dispetto dei 7 milioni di voti in più raccolti da Joe Biden, o del fatto che non sia finora stato trovato uno straccio di prova di eventuali brogli, questi «duri e puri» sono ancora convinti che il vero vincitore fu Trump. La fede nel «verbo» del Capo ha garantito loro l'endorsement dell'ex presidente - e quindi la vittoria - nelle ultime elezioni di midterm. Senza contare le donazioni della base repubblicana, convinta del complotto Dem. È evidente che McCarthy, se vuole sperare di recuperare una parte di quei voti per raggiungere quota 218, soglia necessaria a essere eletto speaker, non può deluderli, andando a commemorare la vittoria dell'ordine costituito contro il loro velleitario (e violento) tentativo di riscrivere la Costituzione.
Eppure, paradosso dello psicodramma repubblicano al Congresso, questo non rende i ribelli dei trumpiani doc, se è vero che nemmeno l'appello all'unità lanciato dal tycoon è riuscito finora a portarli tutti dalla parte di McCarthy. Un segno anche della sempre più scarsa presa dell'ex presidente sul Grand Old Party. La differenza tra gli irriducibili e l'establishment del partito è ormai antropologica: «Non ci fidiamo di lui!», ha tuonato Matt Gaetz, nel rigettare per l'ennesima volta la candidatura di McCarthy. Proprio Gaetz è uno dei capofila dei «negazionisti». Non ha dimenticato la furia con cui McCarthy si scagliò contro Trump il 6 gennaio, al punto da chiederne in privato le dimissioni, come rivelò un audio del Nyt. Salvo, poi, settimane dopo, recarsi a Mar-a-Lago, per ricucire i rapporti con il tycoon.
Il Congresso non è l'unico palazzo del potere nel quale si ricorda l'insurrezione di due anni fa. Alla Casa Bianca, Joe Biden ha convocato le telecamere per la cerimonia di assegnazione della Presidential Citizens Medal, una delle più alte onoreficenze civili Usa. Tra i dodici insigniti: agenti di polizia feriti durante l'assalto, il poliziotto morto il giorno dopo la rivolta e i funzionari degli uffici elettorali che si opposero ai tentativi di Trump e del suo entourage di sovvertire il risultato del voto.
«Hanno dato un contributo esemplare alla nostra democrazia». A prescindere dal risultato che McCarthy otterrà alla Camera o dei voti ribelli che riuscirà a recuperare, la frattura tra una parte dei Repubblicani e la maggioranza del Paese rimane.
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