Fratture e minacce: ora l'Unione può esplodere

A pochi giorni dal consiglio Ue sembra impossibile trovare la quadra. Schengen a rischio

Fratture e minacce: ora l'Unione può esplodere

I Paesi di Visegrad le voltano la schiena. Il falco di Baviera Horst Seehoofer è pronto a scavarle la fossa sotto i piedi. L'Italia per la prima volta prova a rivoltarglisi contro. E il trattato di Schengen sembra a un passo dalla rottamazione. Insomma la Cancelliera Angela Merkel e l'Europa disegnata a sua immagine e somiglianza tremano, traballano e si sgretolano. Il tutto a meno di una settimana da un Consiglio Europeo in cui l'Unione dovrà decidere come uscire da quella crisi dei migranti che rischia di distruggerla.

Ma la resa dei conti inizia dal peccato originale. Anzi dalla peccatrice. Da quella Angela Merkel colpevole di aver spalancato le porte a un fenomeno migratorio di cui non comprese la devastante portata. Tre anni dopo, la prima a subirne le conseguenze è lei. Ieri Seehofer non ha usato mezzi termini e ha attaccato a muso duro una Cancelliera pronta a licenziarlo pur di frenare il «masterplan» anti immigrazione con cui il falco della Csu bavarese vorrebbe respingere alla frontiera chiunque si è visto rifiutare l'asilo in un altro Paese o non è in grado di esibire un documento. «Sarebbe la prima volta al mondo che uno licenzia un ministro soltanto perché si preoccupa e si prende cura della sicurezza e dell'ordine del suo Paese», ha dichiarato Seehofer. «Io sono presidente della Csu, uno dei tre partiti della coalizione di governo, e guido il mio partito con totale sostegno. Se qualcuno nella cancelleria è insoddisfatto del lavoro del ministro dell'Interno, allora deve porre fine alla coalizione».

Ma mentre la Cancelliera si arrovellava per tenere in piedi la sua stessa casa, a oriente veniva giù un altro pezzo d'Europa. I Paesi del blocco di Visegrad, Ungheria in testa, guidavano la rivolta contro il vertice preparatorio tra Italia, Spagna, Francia, Germania e Austria (ma forse anche Bulgaria Olanda e Belgio) che domenica dovrebbe segnare le tappe d'avvicinamento al Consiglio d'Europa del 28 giugno sul tema migranti. Il pomo della discordia capace d'innescare la sollevazione di Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca è come sempre la ripartizione dei richiedenti asilo. Un argomento considerato una sorta d'inviolabile tabù dai quattro Paesi dell'Est europeo. «Apprendiamo che ci sarà un mini-summit, ma noi non vi parteciperemo perché questo è contrario alle abitudini dell'Ue», ha annunciato il premier ungherese, Viktor Orban spiegando che il responsabile dell'organizzazione dei summit «è il presidente del Consiglio Ue Donald Tusk e non la Commissione europea».

Prima ancora che succedesse tutto questo le linee guida della Merkel erano state messe in dubbio anche da un Giuseppe Conte costretto a confrontarsi con l'ignobile bozza di lavoro sottopostaci in vista dello stesso vertice preparatorio. Una bozza che ribadiva l'obbligo di riprenderci, con tante scuse, i migranti sbarcati sulle nostre coste, ma acciuffati al confine di altri Paesi dopo esser sgusciati tra le maglie dei controlli. Comunque non illudiamoci, la rivolta del presidente del Consiglio Giuseppe Conte prontissimo nel rispedire al mittente la bozza minacciando il ritiro dell'Italia non è certamente una vittoria definitiva.

Lo scontro tra Seehofer e la Cancelliera dimostra inequivocabilmente come dietro la sopravvivenza di quella clausola iniqua ci fosse il tentativo della Merkel d'abbassare il livello dello scontro con il proprio ministro dell'Interno. La reazione dell'Italia e la cancellazione della clausola ha dato fuoco alle polveri. Ma anche messo a nudo lo stato di decomposizione in cui versa ormai l'Unione.

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