«Dobbiamo essere pronti ad accogliere un numero massiccio di feriti, che vanno curati e protetti anche sotto il tiro dei missili». Non scherza Salman Zarka, direttore, druso, dello Ziv, il più importante centro medico del Nord. E aggiunge: «Siamo in emergenza dal 7 ottobre, ma se ci attaccano l'ospedale verrà completamente trasferito sotto terra: 200 letti, sale operatorie, terapia intensiva».
La posizione del principale centro di soccorso nell'alta Galilea sulla mappa, non lascia dubbi: 11 chilometri dal confine con il Libano ed i giannizzeri filo iraniani di Hezbollah, 30 dalla Siria altro possibile trampolino di attacco. L'ospedale è una specie di fortezza bianca su una collina protetto da lastroni di cemento e presidiato da una forza di sicurezza ad hoc. Allo Ziv arrivano dalla prima linea sia militari che civili. Nella guerra del 2006 contro Hezbollah è stato bombardato reggendo ai colpi. Tre mesi fa un missile Grad è piombato all'ingresso dell'ospedale, ma «per fortuna senza esplodere, altrimenti sarebbe stata una strage». Un video mostra il razzo che solleva una nuvola di fumo a pochi passi da due autobus con pazienti e bambini. Un altro filmato, di propaganda di Hezbollah, fa vedere le ambulanze che arrivano al pronto soccorso.
«Questa volta sarà peggio del 2006. Il numero di missili che colpirà l'area potrebbe essere ben più alto - spiega il deciso direttore - La sfida maggiore sarà rimanere operativi, giorno e notte, sotto il fuoco». Il sotterraneo è un grande bunker in cemento armato diviso in corridoi e larghe sale con i letti separati da tende. «Siamo pronti a trattare migliaia di feriti e le scorte di sangue sono sufficienti - sottolinea Zarka - Anche se colpissero la rete idrica ed elettrica l'ospedale è autonomo per una settimana». All'ingresso dei reparti sotterranei una sfilza di operatori, dietro ai computer, manda avanti tutto come in superficie. Di fronte hanno la tv con le immagini dello sciame di droni kamikaze degli Hezbollah lanciati Libano, che da lunedì stanno piombando con maggiore intensità sul Nord di Israele. Il pronto soccorso è circondato da alte barriere in cemento armato per proteggerlo dalle schegge dei razzi. E per renderle più umane sono coperte da graffiti sul personale medico, dalle parole d'ordine per fare tornare a casa gli ostaggi o dalla bandiera con la stella di Davide.
Una simpatica araba israeliana, ci accompagna all'auditorium dell'ospedale spiegando che le poltroncine blu spariscono trasformando lo spazio in un grande reparto. Sulle pareti, rinforzate per resistere ai razzi, sono segnati i numeri delle postazioni per i letti con tanto di presa di ossigeno e collegamenti per i macchinari. «Fino ad oggi abbiamo accolto 420 feriti», dichiara il direttore. Asmar ha solo 12 anni ed è uno dei bambini sopravvissuti alla strage nel campo di calcio di Majdal Shams. Altri 12 ragazzini drusi sono stati uccisi da un razzo.
«L'allenatore ci stava dividendo in due squadre quando ha suonato l'allarme e c'è stato il boato - racconta - Ricordo che saltellavo su un piede solo fino a quando sono caduto fuori dal campo. Qualcuno mi ha legato la sua camicia attorno alla gamba dilaniata per fermare il sangue».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.