Il fuoco amico che imbarazza Saviano

Ogni famiglia è sempre una luce, per quanto fioca, nel buio del mondo, dice Papa Francesco. E quando i panni sporchi non si lavano in famiglia è lì che cominciano i guai

Il fuoco amico che imbarazza Saviano

Ogni famiglia è sempre una luce, per quanto fioca, nel buio del mondo, dice Papa Francesco. E quando i panni sporchi non si lavano in famiglia è lì che cominciano i guai. Prendete Roberto Saviano. L'autore di Gomorra l'altro giorno sul Corriere della Sera mentre raccontava la vera storia di Maria Licciardi - diventata Scianel nella trasposizione televisiva di Gomorra, giunta (finalmente) all'ultima stagione - si è addentrato in un'analisi sociologica da quattro soldi per dire che «le mafie finiranno quando finiranno le famiglie e l'umanità troverà nuove forme di organizzazione sociale, nuovi patti d'affetto, nuove dinamiche in cui crescere vite». Siamo a una fictio iuris che capovolge la realtà. Siccome la famiglia tradizionale non mi piace, dico che è il fondamento del male assoluto e così la abbatto tra gli applausi del pubblico. Un po' come usare Marcell Jacobs (che infatti si è incavolato) per beatificare lo ius soli. Ora, il delirietto di Saviano era passato semi inosservato, tranne qualche indignata reazione social (capirai che sorpresa), vista la capziosità del suo sconclusionato ragionamento. Ma ieri su Avvenire è comparsa una scomunica firmata da don Aldo Patriciello. Non uno qualsiasi dei fedeli della parrocchietta anticamorra che si nutre del verbo di Saviano, ma proprio il parroco in prima linea nella lotta ai boss. Uno che conosce la perfidia del fenomeno mafioso più di Saviano perché lo vede ogni giorno, non in tv dall'attico sopra Central Park, e che infatti ha scomunicato lo scrittore smontando pezzo per pezzo il fragile sillogismo mafia=famiglia: «Se non si riesce a estirpare il cancro maledetto delle mafie è perché l'asfissiante abbraccio mortale con i colletti bianchi e i danarosi moralmente miseri non è mai venuto meno», tuona il sacerdote. Che poi maledice la scelta di citare lo scrittore omosessuale André Gide: «Conoscendo purtroppo la simpatia di Saviano per l'utero in affitto, obbrobrio tra i più odiosi, mi domando se alludesse a questo lo scrittore quando parla di nuove dinamiche in cui crescere vite».

«Anziché abolire la famiglia occorrerebbe abolire lo stupidario dei consumi ostentatori sui quale l'aristocrazia mafiosa sfoggia la propria onnipotenza», ha scritto l'altro giorno sul Sussidiario.net Salvatore Abbruzzese, ordinario di Sociologia della religione all'università di Trento e tristemente omonimo di uno degli attori del film Gomorra di Matteo Garrone del 2008, arrestato per spaccio a telecamere spente.

Rappresentare la camorra come sfarzosa e spietata, invincibile e potente - come ha legittimamente fatto Saviano nella sua fiction, lucrandoci ma è affar della sua coscienza - non aiuta a disinnescare il fenomeno, anzi crea i presupposti perché in una terra in cerca di un perenne riscatto e abbandonata dallo Stato (non da Dio, grazie don Aldo) i ragazzini della paranza si identifichino negli spregiudicati boss della fiction, proprio adesso che la camorra, dopo aver avvelenato pezzi della Campania infarcendoli di scorie radioattive e rifiuti tossici ha

esaurito la sua missione predatoria. Perdendo il rispetto di chi, in rassegnato e fatalista silenzio, ha accettato che la camorra risolvesse i problemi che lo Stato creava. Altro che la iurisfictio(n) che fa ricco Saviano.

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