La guerra contro Hamas nella Striscia di Gaza costerà a Israele 85 miliardi di euro, secondo la previsione del governatore della Banca centrale israeliana, Amir Yaron. Ma quale sarà il costo politico per il primo ministro Benjamin Netanyahu e per i protagonisti della strategia adottata da Israele dopo l'attacco del 7 ottobre? Benny Gantz, leader del partito centrista Unità nazionale, entrato nel Gabinetto di guerra israeliano dopo la strage di Hamas nonostante sia il più quotato sfidante di Netanyahu, vuole accelerare i tempi in cui si arriverà a un bilancio. Già ad aprile, l'ex capo di Stato maggiore aveva chiesto elezioni anticipate. Nelle ultime ore gli altri partiti di opposizione lo hanno esortato a dimettersi, a formare una coalizione anti-Netanyahu adesso che le pressioni della piazza crescono, insieme con i malumori di tanti israeliani a otto mesi dall'inizio del conflitto.
L'uscita di scena di Gantz dall'esecutivo potrebbe essere questione di giorni. Proprio ieri, una deputata del suo ha presentato un disegno di legge per lo scioglimento della Knesset e la richiesta di elezioni anticipate. «Il 7 ottobre è un disastro che ci impone di ritornare alle urne e di ricevere la fiducia del popolo, di istituire un governo di unità ampia e stabile che possa guidarci con sicurezza di fronte alle enormi sfide che ci attendono in termini di sicurezza ed economia nella società israeliana», si legge nel provvedimento. Le accuse sono state rigettate dal Likud, il partito del primo ministro Netanyahu, che ha definito «inutile e divisiva» la proposta, addirittura una «ricompensa» per i leader di Hamas e una «resa alle pressioni internazionali». Ma è evidente che il momento del giudizio si avvicina in Israele, ora che la Striscia di Gaza è completamente circondata dalle truppe israeliane e adesso che - fuoriusciti oltre un milione di palestinesi dall'area di Rafah, l'ultima roccaforte di Hamas - Israele punta a espugnare gli ultimi battaglioni del gruppo estremista dalla Striscia. Urge un bilancio politico, soprattutto perché, finiti i combattimenti a Gaza, sarà necessario pensare al dopoguerra e alla gestione della Striscia, questione controversa ed estremamente delicata in termini di sicurezza per Israele.
Nonostante le pressioni internazionali e interne su «Bibi» (come viene chiamato confidenzialmente il premier Netanyahu), i sondaggi dell'ultima ora in Israele dicono che il primo ministro può dormire sonni decisamente più tranquilli di qualche mese o settimana fa. Secondo una rilevazione di Channel 12, per la prima volta in un anno il capo del governo israeliano - tra l'altro il più longevo della storia - ha superato Gantz con il 36% delle preferenze contro il 30% del rivale, che oggi lo affianca al governo per puro senso di responsabilità istituzionale dopo il più sanguinoso attacco dalla fondazione di Israele. Il sondaggio restituisce un quadro ribaltato rispetto a dicembre, quando «Bibi» era al 27% e Gantz volava al 45%. Un segnale che, a dispetto delle proteste di piazza e delle condanne internazionali, c'è una maggioranza silenziosa pro-Bibi, pronta a emergere se si tornasse alla urne.
Un altro sondaggio del Pew Research Center svela invece che, a differenza del premier, il 50% degli ebrei israeliani sostiene l'occupazione della Striscia di Gaza dopo la fine della guerra. Una svolta rispetto al 2013, quando quasi la metà degli ebrei israeliani e la maggioranza degli israeliani in generale sostenevano la soluzione dei due Stati.
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