Gentiloni prova a rallentare e il Colle vuole l'ultima parola

Il premier e Padoan si fanno portavoce di Mattarella. Il Quirinale deciso a dettare l'agenda della crisi

Gentiloni prova a rallentare e il Colle vuole l'ultima parola

Roma - L'Europa ci guarda, il Quirinale tace, il premier Gentiloni finge di non sentire. L'aria elettorale è ormai un venticello robusto e sempre più insistente: fa scorgere segnali di un ciclone autunnale, finanziario e politico. L'importante, si ragiona a Palazzo Chigi, è mettere rinforzi alle finestre. Il chiodo principale cui si lavora dovrebbe essere un decreto legge che rinvii di tre-quattro mesi l'entrata in vigore, automatica il prossimo primo gennaio, della cosiddetta «clausola di salvaguardia», ovvero, l'aumento dell'Iva. Una stangata complessiva di 19,6 miliardi che metterebbe in ginocchio qualsiasi governo dovesse insediarsi a settembre o ottobre. Il decreto avrebbe però bisogno di un occhio benevolo da parte della Ue, come in passato è stato fatto per altri Paesi (Spagna e Portogallo) alle prese con elezioni autunnali. «Anche allora abbiamo trovato delle soluzioni», ci conforta Bruxelles. E il commissario Moscovici cerca di rassicurare i mercati: «Le elezioni non sono mai un problema... L'Italia ha adottato misure di bilancio supplementari che dovrebbero permetterle di essere complessivamente conforme ai suoi obblighi previsti dal patto di Stabilità. Continueremo a seguire la situazione di bilancio di questo Paese, in particolare per il 2018». Tocca al ministro Padoan cercare di risolvere il complicato rebus tra conti, Europa e governo in scadenza. Compito per il cui successo Padoan non manca di richiamarsi alla necessaria «fiducia reciproca tra i Paesi, merce attualmente in Europa piuttosto scarsa». Eppure, spiega il ministro, «ci vuole un impulso politico per il cambiamento, ed è difficile pensare a cambiamenti in Ue in momenti di cicli elettorali». Frase un po' contorta che rappresenta bene il proprio status e il proprio animo: di più non si può fare, il resto tocca alla politica.

Anche il premier Gentiloni, ieri alle prese con la visita ufficiale del premier canadese Trudeau, ha voluto far sapere che, nonostante tutto, il «governo è nella pienezza dei suoi poteri e «ha impegni in corso che intende mantenere». Nel frattempo, aggiunge, «guardo con attenzione al lavoro sulla legge elettorale, ma confermo quello che ho detto molto chiaramente quando il governo si è presentato alle Camere per la fiducia: che non avremmo svolto un ruolo da protagonista sulle regole del voto, pur augurandoci un'intesa». Fino ad allora, il sottinteso (neppure tanto) di Gentiloni, ci sono io. Giusta considerazione sollecitata dal Quirinale, dove la preoccupazione è massima per l'accelerazione e massimo il fastidio per il can-can che si è scatenato sulla data del voto. Il presidente Mattarella non intende svolgere alcun ruolo né far trapelare alcuna intenzione, almeno finché non ci sarà il primo passaggio sull'accordo elettorale. I tre partiti «big» lo considerano ormai blindato, eppure a Palazzo Madama ci potrebbero essere sorprese.

Dunque si attende che un punto fermo (peraltro sollecitato anch'esso dal Colle) venga scritto, con il perfezionamento in Parlamento del sistema di voto. Poi verrà il tempo del Presidente, l'unico cui spetta decidere sullo scioglimento delle Camere. Ma le forze politiche, e il segretario del maggior partito, paiono averlo dimenticato.

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