A Gerusalemme è intifada: due morti nei primi scontri

Le forze israeliane sparano al confine con la Striscia In serata bombardate postazioni di Hamas a Gaza

A Gerusalemme è intifada: due morti nei primi scontri

La «nuova intifada» annunciata per ieri da Hamas dopo la preghiera del venerdì nei territori palestinesi è cominciata in tono relativamente minore, ma rischia di degenerare rapidamente in qualcosa di preoccupante. Si calcola che siano stati circa tremila i manifestanti che hanno risposto all'appello di scendere nelle strade per protestare con modalità violente contro l'annuncio del presidente americano Donald Trump di voler trasferire l'ambasciata degli Stati Uniti in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme. Il bilancio degli scontri che si sono registrati in diverse località della Cisgiordania (tra cui Betlemme, Hebron, Jenin, Ramallah, Nablus e Qalqiliya) e nella Striscia di Gaza è pesante: due morti e circa duecento feriti, addirittura 767 secondo la Mezzaluna rossa palestinese che vi include gli intossicati dai lacrimogeni.

In serata è arrivata, dura e mirata, la replica militare israeliana alla sfida degli integralisti islamici: tre postazioni di Hamas all'interno della Striscia di Gaza sono state bombardate dall'aviazione causando una vittima.

Gli scontri più duri, quelli in cui un altro giovane manifestante palestinese è rimasto ucciso dal fuoco aperto dai militari israeliani che pattugliavano la frontiera, si sono verificati presso Gaza. La notizia di una terza vittima tra i dimostranti, diffusa nel pomeriggio, è stata successivamente smentita dal ministero della Salute dell'Autorità nazionale palestinese.

Dalla Striscia sono anche stati lanciati due razzi verso il territorio israeliano: uno è stato intercettato dal sistema di difesa missilistica Iron Dome, mentre l'altro sarebbe caduto senza fare danni in una zona non identificata. Il generale israeliano Yoav Mordechai, responsabile per le attività nei Territori occupati, si è rivolto ai palestinesi con un appello a «non ascoltare gli estremisti che non fanno altro che farvi del male», e che «con menzogne e distorsioni invocano la guerra di religione».

La protesta, come previsto, è divampata in tutto il mondo arabo e musulmano. Dall'Egitto alla Tunisia, dalla Siria alla Turchia, dal Libano all'Algeria, dal Pakistan all'Indonesia migliaia di persone hanno riversato la loro rabbia contro Trump.

E al Cairo il grande imam della moschea egiziana di Al Azhar, Ahmed al-Tayyeb, ha cancellato l'incontro con il vicepresidente americano Mike Pence che era stato fissato per il 20 di questo mese. In assenza di una gerarchia ecclesiastica paragonabile a quella cattolica, Al-Tayyeb è considerato la più alta autorità religiosa dei musulmani sunniti.

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