Il giallo delle mascherine a norma ritirate da Arcuri

La testimonianza dell'imprenditore "bocciato": "Sui miei dispositivi mai nessuna contestazione"

Il giallo delle mascherine a norma ritirate da Arcuri

Restano le incognite nell'inchiesta su Luca Di Donna, l'avvocato considerato in passato molto vicino a Giuseppe Conte. Indagato a Roma per associazione per delinquere finalizzata al traffico di influenze illecite, secondo i pm in cambio di consulenze e percentuali, avrebbe intermediato affari tra aziende private e l'ex struttura all'emergenza Covid spendendo conoscenze con l'ex commissario Domenico Arcuri e con l'ex premier, a loro insaputa ed estranei all'indagine.

A far scattare l'inchiesta è stata la testimonianza di un imprenditore di Assisi, Giovanni Buini, che ad aprile 2020 aveva ottenuto una fornitura di mascherine per la struttura commissariale, ed era in cerca di contatti per chiudere una seconda più importante commessa. Per questo entra in contatto con prima con Gianluca Esposito - avvocato, ex direttore del Mise e anche lui indagato - e poi con Di Donna. I due gli propongono un contratto di consulenza, di fatto una percentuale sulle commesse che sarebbero stati «capaci di garantirgli», secondo i pm «rimarcando la vicinanza di Di Donna con ambienti istituzionali governativi». Buini poco dopo decide di recedere dall'accordo perché «anomalo». Quando l'affare salta, però, dalla struttura di Arcuri arriva una mail. Gli comunicano lo stop a eventuali contratti di fornitura «per mutate esigenze» e anche la restituzione delle mascherine già consegnate. Una ritorsione? Per i pm solo una «singolare coincidenza «temporale» con l'interruzione dei rapporti con i due avvocati. Lo stesso Arcuri, interrogato nell'ambito dell'inchiesta che lo vede accusato di peculato e abuso d'ufficio per la commessa di mascherine intermediate dal giornalista Mario Benotti, alla domanda sul perché non abbia ritirato dal commercio le mascherine rivelatesi fallate di Benotti, e invece avesse ritirato quelle di Buini, ha spiegato ai pm: «Abbiamo avuto ragione di sospettare sulla base di indagini giudiziarie che esse non rispondessero ai requisiti di legge». Di quali inchieste giudiziarie parla? Nei giorni successivi all'ultimo incontro con Di Donna, il 5 maggio, Buini riceve in azienda la visita dei Nas e della Guardia di finanza, rispettivamente il 6 e il 7 maggio. A informare Arcuri delle verifiche è lo stesso Buini, l'8 maggio, con una mail, rassicurando anche che sugli esiti delle ispezioni. Nella stessa mail Buini ricorda anche «la disponibilità a formalizzare un accordo per la fornitura settimanale di 10 milioni di mascherine chirurgiche per un periodo di quattro mesi». Accordo che invece non si farà mai, perché dalla struttura commissariale arriva lo stop a qualsiasi contratto futuro. Buini ricorda che «avevamo già venduto un milione di mascherine al commissario» e che «nonostante numerosi controlli non hanno mai avuto contestazioni».

A differenza di quelle acquistate tramite Benotti, certificate in deroga e poi sequestrate perché non a norma, «la nostra certificazione invece ha seguito l'Iter ordinario indicato dalla Comunità Europea ed è stata rilasciata dopo un esame approfondito dei dati risultanti da test di laboratorio». Arcuri ha dichiarato anche ai pm che in quel periodo «abbiamo fermato la distribuzione di mascherine in presenza di fatti certi». Ma di certezze in questa storia pare ve ne siano ben poche.

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