La sciarpa del Tecchiena, la maglia di Vasco Rossi sopra la bara bianca, a ricordare «un innocente» e una valanga di corone di fiori. Ieri tremila persone si sono strette attorno alla famiglia di Emanuele Morganti, massacrato il 23 marzo dal branco spietato, che l'ha aggredito all'uscita della discoteca Mirò di Alatri.
Il feretro era giunto in mattinata da Roma e dopo una breve sosta a casa, è stato portato a spalla dagli amici per trecento metri, fino alla chiesa. Ad accoglierlo una folla immensa, accalcata nel piazzale, perché dentro non c'era posto, una distesa di palloncini bianchi e tanti striscioni. C'è quello di Gianmarco, l'unico che lo ha difeso quell'assurda notte prendendo anche le botte per lui. Nella foto lo abbraccia e gli dice «Ciao amico mio». È un altro, bellissimo, struggente in cui la vittima sorride con un altro ragazzo, che ora piangendo gli scrive «vorrei solo averti accanto, stringerti e dirti che la vita è un po' meno complicata se ci sei tu con me». Ma Emanuele ieri c'era. Ovunque. Il suo sorriso era nelle lacrime degli altri e nelle magliette fatte stampare e indossate dagli amici con i quali ascoltava Angeli di Blasco. La strofa «quando ormai si vola non si può cadere più» l'avevano cantata insieme decine di volte, ma ora non consola più. Inconsolabile è anche mamma Lucia, che non alza gli occhi dalla bara, nemmeno un istante. È seduta accanto al papà del giovane, al figlio Francesco e alla figlia Melissa. Si preoccupa per quanti sono rimasti fuori dalla chiesa, si scusa e simbolicamente abbraccia tutti. «Non abbiamo parole, la morte è brutta per se stessa - dice il vescovo di Alatri, Lorenzo Loppa, aprendo la funzione - ma quando è provocata dalla cattiveria è drammatica. È stato un delitto di una ferocia unica. La risposta alla domanda dove era Dio quando Emanuele veniva pestato a sangue? Era dentro di lui, a prendere quei colpi. Il regalo ad Emanuele deve essere in primis di nessuna tolleranza alla violenza». Nessuno pensa alla vendetta, che adesso ha lasciato il posto alla disperazione. C'è chi singhiozza, chi nel piazzale ricorda Emanuele bambino, le vicine di casa che lo descrivono, lo raccontano, e non smettono di piangere. Tecchiena è fatta di gente semplice, che ti offre una caramella anche se non ti conosce al primo colpo di tosse e dall'altra stringe un fazzoletto. È fatta da bambine con gli occhi gonfi, che tengono in mano un pugno di margherite e un biglietto con un cuore e il nome del giovane, che ora non c'è più. Ma è quando parla mamma Lucia che anche i più forti, crollano. «Io sono Lucia, la mamma di Emanuele e vi ringrazio a nome suo per ogni lacrima versata per ogni singhiozzo, per averlo ricordato nelle vostre preghiere. Era un angioletto, ma che dico, era un caciarone pieno di vita che ci faceva sentire vivi. Non è morto perché era cattivo, ma ha solo ricevuto cattiverie dagli uomini». Come ha detto anche ieri mattina: «Non ha trovato un buon Samaritano». Poi la bara viene portata fuori accolta da un lungo applauso mentre nel cielo gli amici di Emanuele liberano i palloncini bianchi, ognuno con un messaggio d'amore per lui e due colombe candide. E nel cuore di tutti rimane la lettera della sorella Melissa, che con lui era un corpo e un'anima.
«Sei venuto in un momento complicato per la nostra vita e ci hai portato il sorriso - dice con un filo di voce - asciugavi le mie lacrime quando piangevo e ciò che siamo stati non sarà mai portato via dagli assassini. Confido perché adesso venga fatta giustizia e chi ti ha portato via abbia un nome. Grazie per aver reso speciale il nostro viaggio».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.