L' attacco terroristico di giovedì è la prova che l'Afghanistan è di nuovo pericoloso come al tempo di Bin Laden. Una fonte variegata di terrorismo, un'orchestra di bombe, mitra, missili, terroristi suicidi che adesso suona con la direzione dei talebani. Isis oggi non si può muovere se i talebani non glielo permettono. Come quando Hamas dice che è stata la Jihad Islamica a lanciare i missili: ridicolo. Chi controlla il territorio? Chi lascia che Isis si armi anche se è spezzettata ormai in mille segmenti? Ed è infantile immaginare che i talebani non siano così cattivi se c'è qualcuno più cattivo di loro, l'Isis appunto, per esempio, o Al Qaida che è carne e parte della famiglia più stretta dei talebani stessi. Se a centinaia di migliaia gli afghani e gli stranieri nel Paese, a rischio della vita, si riversano nell'unico aeroporto (assediato dal terrorismo) in condizioni spaventose pur di fuggire, ecco che da noi qualcuno immagina che invece ci sia qualcosa in loro di mutato, di diplomatico, di pronto al compromesso. È un punto di vista che serpeggia fra i politici e sulla stampa: nasce complementare all'idea «antimperialista», molto popolare, secondo la quale gli americani in realtà hanno ambito a Kabul ad affermare brutalmente il loro potere, molto più che a combattere gli alleati di Bin Laden, i persecutori di chiunque anelasse a uno spiraglio di libertà fra le spaventevole sbarre della sharia. Adesso, questa idea suggerisce che da Doha in avanti i talebani siano cambiati, grazie all'esperienza che li avrebbe dirozzati, urbanizzati, dotati di telefonini, allenati a parlare inglese. Ma la verità è sotto gli occhi di tutti: i talebani hanno di nuovo la condotta degli anni '90, i loro leader attuali sono ancora quelli o i loro rampolli, la loro brigata più accurata e moderna, la Badr 313, dotata di divise da paracadutisti invece che di galabye è fatta di «martiri» pronti, come dichiarano, al terrorismo suicida, i Mushashsid, «cacciatori di martirio», dicono, che si proclamano «custodi di valori». Valori di persecuzione e condanne a morte. È così che è ricominciata una campagna di esecuzioni sommarie, aggressioni alle donne, chiusura di scuole. L'eccidio di massa, completo della preda dei morti americani, è di fatto un nuovo simbolo della sconfitta e delle umiliazioni del nemico in fuga. Anche se Isis rivendica l'attentato, questo può convenire all'uno, per avere il suo spazio nell'empireo degli Shahid, ma anche all'altro, i talebani, che accusano gli americani di inettitudine dicendo che l'aeroporto è sotto il loro controllo. Ma chi ha dato il via libera agli uomini dell'Isis liberati dalle carceri, e chi di fatto causa la situazione di caos all'aeroporto per cui i terroristi, specie da amici dell'ormai padrone di casa, si fanno avanti? È uno spazio che l'incompetenza di Biden ha creato. Se è vero che prima dell'affannoso ritiro di Biden, i talebani, come ripetono, non avevano sparato un colpo, è perché l'accordo con Trump, (peraltro non il primo ma il secondo, dopo Obama, a decidere lo sgombero) era condizionale, e anche minaccioso, come ha spiegato il segretario di Stato Mike Pompeo, e comunque Trump intendeva evacuare i civili prima delle forze militari. Adesso «la minaccia del terrore proveniente dall'Afghanistan prende piede col supporto dei maggiori Paesi ignorando le attività delle organizzazioni terroriste più violente, e questo richiede la solidarietà per fronteggiare la minaccia talebana e di Al Qaida», dice Monir Adib, esperto egiziano su Al Ain.
Oppure «Russia, Cina, il Pakistan e naturalmente l'Iran rimpiazzeranno gli Usa che hanno aperto la porta ai nemici», scrive Jameel Al Theyabi su Okaz, Arabia Saudita. Il mondo arabo, più vicino, capisce meglio di noi cosa sta succedendo.
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