Lo scenario emerso dai risultati delle Europee conferma molte delle attese della vigilia. Con qualche elemento, però, che aiuta a precisare il quadro e dà importanti indicazioni sul nuovo assetto delle preferenze politiche degli italiani.
1) Il dato più importante, naturalmente, è costituito dal successo della Lega che diviene il primo partito e guadagna tre milioni di voti rispetto alle politiche del 2018. Ha vinto dunque la linea di Salvini e la sua continua presenza sui media. Il leader leghista era dato in lieve calo dai sondaggi riservati circolati negli ultimi giorni, che ipotizzavano un effetto delle accuse rivolte ad Armando Siri e delle reazioni negative di alcuni ambienti cattolici all'uso del Rosario in Piazza del Duomo a Milano. Non è stato così: quella che da alcuni è stata definita una ripresa del «giustizialismo» (se non una riedizione del clima caratterizzante l'epoca di «Mani Pulite») non si è verificata. E i cattolici si sono distribuiti, com'è accaduto anche nelle altre elezioni recenti, in modo omogeneo in tutti i partiti, senza che la fede orientasse in un modo o nell'altro le scelte politiche.
Tuttavia, l'elemento più significativo del successo leghista è la sua diffusione nazionale. É vero che Salvini miete consensi specialmente al Nord: in Veneto sfiora il 50%, ma anche in Emilia Romagna, a suo tempo feudo «rosso», la Lega arriva a superare il Pd e in Toscana lo tallona da vicino. Ma anche nel Sud il Carroccio guadagna voti dappertutto. Beninteso, nella gran parte delle regioni meridionali (con l'eccezione dell'Abruzzo), il M5S resta il primo partito, pur perdendo una messe di voti rispetto al 2018. Ma anche qui la Lega fa segnare un rilevante successo, ottenendo mediamente circa il 23% contro il 29 del M5S e il 18 del Pd. E, come mostrano le analisi del Cise, i tassi di crescita della Lega in queste elezioni sono stati molto maggiori al Sud, con la conseguenza di una netta diminuzione nelle differenze territoriali di consenso a Salvini. D'altra parte, questo esito era stato anticipato, ad esempio, dal risultato delle elezioni in Sardegna che, come avevamo scritto commentandole, danno spesso indicazioni che poi trovano conferma sul piano nazionale.
Insomma, Salvini è riuscito a trasformare un partito connotato strutturalmente come «Nordista» (ciò che corrispondeva alla strategia di Bossi) in una forza politica dal carattere indubbiamente nazionale. Ciò che gli consente di rafforzare la propria posizione in seno al Governo attuale e, forse, nelle future coalizioni che si potrebbero formare a seguito dei mutati rapporti di forza tra i partiti.
2) Il grande sconfitto delle elezioni è, come tutti hanno sottolineato, il M5S, che perde circa 6 milioni di elettori rispetto al 2018. La débâcle più significativa è avvenuta nel Meridione, che, dando per scontate le percentuali minime ottenute al Nord, rimaneva, nelle aspettative dei dirigenti del M5S, la tradizionale area di forza dei grillini. Su questo risultato hanno influito la forte astensione registrata nelle regioni del Sud che ha allontanato dalle urne una gran massa di elettori e, al tempo stesso, la delusione di vasti strati di elettori meridionali per alcune politiche messe in atto dal M5S. A partire dal mancato effetto, sul piano della raccolta dei consensi, del Reddito di Cittadinanza (anche se, come sottolineano ancora i ricercatori del Cise, le percentuale di voti al M5S appare a tutt'oggi correlata con l'incidenza delle domande per il Reddito di Cittadinanza), allo sconcerto per alcune scelte come, ad esempio, quelle relative al Tap o all'Ilva.
3) Ma il calo del M5S non ha avvantaggiato il Pd come invece molti esponenti di questo partito speravano, a seguito della supposta collocazione dei grillini come «transfughi» temporanei di un elettorato comunque di sinistra. Certo, il Pd ha «tenuto» (perdendo comunque circa 100.000 voti rispetto alle politiche del 2018) e il risultato è stato migliore di quanto alcuni sondaggi della vigilia avevano ipotizzato. E il «sorpasso» sul M5S ha rinfrancato gran parte della dirigenza del Nazareno. Ma le sconfitte al Nord (tranne che a Milano, in cui, malgrado il rafforzamento dei leghisti, il «modello Sala» appare tuttora vincente) e le obiettiva difficoltà di cui abbiamo detto anche in alcune aree una volta «rosse» suggeriscono che il travaglio, anche interno, del Pd non sia finito e che il partito abbia ancora molto da fare per recuperare un'identità vincente e il conseguente consenso.
4) Tra gli altri partiti, va sottolineato l'ennesimo insuccesso dei Verdi che, diversamente da quello che accade, ad esempio, in Germania e in molti altri paesi sull'onda dell'effetto «Greta», non riescono a mobilitare i cittadini italiani, malgrado il crescente consenso per le tematiche ambientaliste che, come mostrano molte ricerche (ad esempio quelle promosse da Lifegate), coinvolgono un numero sempre maggiore di italiani. Di fatto, nessuna forza politica del nostro paese riesce a tramutare in voti questo trend di opinione.
Così come l'irrilevante risultato di CasaPound evidenzia l'inesistenza di questa forza politica e ridimensiona il «pericolo fascista» che molti hanno evocato nelle scorse settimane.
Infine, Forza Italia ha ottenuto un seguito in linea con quello previsto dai sondaggi e dovuto in larga misura all'impegno personale di Berlusconi negli ultimi giorni di campagna elettorale.
Si è dunque trattato, nell'insieme, di elezioni importanti.
Non solo per i risultati in sé, ma specialmente per il mutamento sostanziale della geografia politica del paese. L'Italia intera assume ufficialmente e, come si è detto, in maniera sempre più uniforme dal punto di vista territoriale, una nuova identità «verde»: il colore dei leghisti.
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