Guerriglia a Napoli. La rabbia degli onesti: "Infiltrati nel corteo"

I commercianti che venerdì hanno sfilato contro il lockdown condannano i violenti: "Non abbiamo nulla a che fare con i criminali, presto torneremo a manifestare"

Guerriglia a Napoli. La rabbia degli onesti: "Infiltrati nel corteo"

«Qui facciamo di nuovo le quattro giornate di Napoli, come il 27 settembre 1943, quando liberammo la città dai nazisti. Se il resto d'Italia non ha coraggio, l'esempio lo diamo noi contro questo governo di dittatori»: a parlare non è uno dei violenti che l'altro ieri sera ha scatenato l'inferno nel capoluogo campano, ma una donna di quartiere, una casalinga, il cui marito ha dovuto abbassare la serranda del suo negozio in seguito al lockdown della scorsa primavera. Perché la gente della città partenopea ha avuto mille ragioni per scendere in strada. A partire dalla crisi dilagante che con le nuove restrizioni rischia di portare interi nuclei familiari al collasso. Ma tra i manifestanti dell'altra sera non c'erano solo criminali o esponenti della camorra, come qualcuno ha tentato di dire. Un messaggio distorto, forse diffuso per giustificare gli attacchi di qualcuno alle forze dell'ordine. «Il flash mob - racconta un napoletano sceso in strada - è nato spontaneamente sui social. Uno a uno siamo scesi in strada e ci siamo ritrovati con l'intenzione di andare di fronte al palazzo della Regione. Era una protesta pacifica, poi sono arrivate le frange violente». Ma per lo più in strada e nelle piazze c'era la brava gente, persone perbene esasperate dopo le chiusure imposte dallo «sceriffo» De Luca. «In molti lo hanno votato - racconta qualcuno - è vero, ma solo perché Caldoro non era un avversario che piaceva. Questo non significa che sia la persona adatta a guidare la Regione. Era il meno peggio».

Tra i manifestanti piccoli imprenditori, commercianti, tassisti, operai, madri di famiglia. Tutte persone che con le restrizioni hanno perso o rischiano di perdere il lavoro in un Sud Italia già abbastanza penalizzato dai mancati investimenti dei decenni passati. A Napoli si vive «delle piccole cose», dice la gente. Adesso lo «sceriffo» De Luca, adeguandosi ai dettami del premier Conte, gira la chiave nella serratura della città e impone il coprifuoco. E davanti alla prospettiva di veder morire i figli di fame padri e madri sono disposti a tutto, anche alla rivolta popolare. Con loro anche studenti, giovanissimi, che ricordano un po' gli universitari pisani che partirono per la battaglia di Curtatone e Montanara. Moderni paladini della libertà decisi a guidare la protesta dei loro concittadini. Gente onesta, di quella che lavora per portarsi a casa il pane. Di quella che non ha bisogno di spacciare come i due arrestati o di rubare. Di quella che vuol cambiare Napoli e che tiene alla sua città, che vuole rendere quell'angolo d'Italia un gioiello del Sud. Di quella che si ritrova per dire «no» a misure troppo drastiche, perché se non si muore di Covid, si muore di fame.

La rivolta, però, si è divisa in due e sono arrivati a rovinare tutto, come spesso succede, i soliti violenti, quelli che approfittano della situazione per generare il caos e che rendono vano, con la loro prevaricazione, qualsiasi nobile scopo.

Le solite facce, quelle che continuano a dettare legge in certi quartieri che sono terra di nessuno. Napoli scenderà di nuovo in piazza, lo assicurano i cittadini. Ma stavolta i criminali saranno emarginati. Anche questo è un punto di partenza.

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