«Saluti dall'Italia che cresce». Cartolina perfida spedita ai gufi in servizio permanente, quelli che mai deflettono dal refrain sul nostro Paese fannullone, spendaccione, incapace e indebitato. Quelli che l'Italia «è sull'orlo del baratro», quelli che l'Italia «non ce la fa», quelli che l'Italia «va commissariata». Oh, yeh. E invece, nel mezzo di una guerra, con un'inflazione da anni '80 e con tassi in rialzo, questo Paese è riuscito nel secondo trimestre a gonfiare il Pil di un 1% secco rispetto al primo e del 4,6% a confronto con lo stesso periodo del 2021. In saccoccia ci siamo già messi una crescita acquisita del 3,4%, ben al di sopra del 2,6% stimato alla fine di maggio: in parole povere, possiamo permetterci un prodotto interno lordo invariato nella seconda metà dell'anno senza intaccare il tesoretto già accumulato. Coi tempi che corrono, grasso che cola.
Piazza Affari apprezza e porta a casa un rialzo del 2% che ingrossa il guadagno messo a segno nell'ultimo mese (+5,6%), mentre lo spread Btp-Bund si raffredda di quasi 12 punti scendendo a quota 232. Bene così. Se dai numeri scattasse uno slancio patriottico, verrebbe da dire «Italia Uber alles». Già: perché loro, i tedeschi già inclinati sull'asse dello «Shwarze null», cioè zero deficit, sono a zero con la crescita. Stagnanti come una palude e candidati a venir risucchiati dalla recessione, pagano più di noi la dipendenza dal gas russo e quel dna manifatturiero che è delizia quando le esportazioni riescono a ruggire, ma che è croce nei momenti bui. La (presunta) locomotiva d'Europa che arranca in salita come un treno a carbone non è mai una buona notizia per tutti e neppure per noi a causa degli stretti rapporti commerciali. Per ora, però, effetti negativi ancora non se ne vedono e andiamo molto meglio della media dell'eurozona (+0,7% rispetto al periodo gennaio-marzo). Tiene botta l'industria, cresce il valore aggiunto dei servizi e pure i consumi interni non sembrano soffrire la girandola dei rincari. Sintetizza il ministero dell'Economia: «Il recupero dalla crisi causata dalla pandemia può dirsi completato, giacché il Pil nel secondo trimestre è risultato nettamente superiore al livello medio del 2019». Naturalmente, il Mef attribuisce ai «corposi interventi» decisi dal governo, sia con la legge di bilancio 2022 sia con lo strumento dei decreti, il sostegno ricevuto dall'economia e invita a «proseguire nell'opera di attuazione del Pnrr e di impulso agli investimenti e all'innovazione».
Del resto, dal terzo trimestre in poi l'Italia sarà chiamata a giocare un'altra partita. Verosimilmente resa più complicata da una serie di fattori che potrebbero diventare una palla al piede per la ripresa. L'incertezza politica, con la campagna elettorale destinata a trascinarsi per quasi due mesi, non fa mai bene all'economia. Se dalle urne non uscirà una maggioranza definita, andrà anche peggio: la complicata formazione di un governo coinciderebbe con una Bce ancora in modalità aggressiva sui tassi. Non da escludere ripercussioni sui differenziali di rendimento dei nostri bond senza che dall'Eurotower arrivi un pronto soccorso con lo scudo anti-spread. Un'altra variabile di potenziale impatto negativo sulla crescita è l'inflazione, benché in lieve rallentamento dall'8% di giugno al 7,9% di luglio (+0,4% mensile).
Ma a preoccupare è sempre di più l'accelerazione dei prezzi del «carrello della spesa» (+9,1%) che rischia di mettere a dura prova la capacità di spesa degli italiani e di dare all'ottimo secondo trimestre il retrogusto amaro delle cose ormai perdute.
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