Guzmán sbatte la porta. L'Argentina è a rischio. Nuovo default in vista

Il ministro delle Finanze lascia, aveva appena rinegoziato 44 miliardi con il Fmi

Guzmán sbatte la porta. L'Argentina è a rischio. Nuovo default in vista

Tutti gli occhi dei mercati sono puntati sull'Argentina dopo che, sabato sera, si è dimesso via Twitter il ministro dell'Economia Martín Guzmán, l'uomo che ha rinegoziato il più grande prestito mai concesso a un Paese dal Fondo Monetario Internazionale, strappando lo scorso 25 marzo una proroga di 30 mesi nei pagamenti di 44 miliardi di dollari. Con Guzmán si sono dimessi anche il numero due del ministero delle Finanze, Raúl Enrique Rigo, il segretario alla politica economica Fernando Morra, il sottosegretario ai finanziamenti Ramiro Tossi, il responsabile delle relazioni istituzionali Rodrigo Ruete e quello delle politiche fiscali, Roberto Arias.

Le sue dimissioni hanno sorpreso gli analisti internazionali, visto che Guzmán tra pochi giorni aveva in programma un viaggio in Europa per rinegoziare un debito da due miliardi di dollari con il Club di Parigi. Hanno sorpreso meno chi segue la guerra di potere senza esclusione di colpi nella coalizione peronista di governo, sempre più divisa tra chi appoggia il moderato presidente Alberto Fernández e chi sta con la sua vice, la pluriindagata per corruzione, Cristina Kirchner.

Erano mesi che il kirchnerismo guidato da Cristina, suo figlio Máximo e i parlamentari de La Cámpora, attaccavano Guzmán. Mercoledì scorso, l'ormai ex ministro dell'Economia aveva chiesto al presidente che cambiasse la cupola del ministero dell'Energia, controllata da La Campora, ma era già stufo di chiedere a Fernández di liberare i rialzi dei tassi bloccati dalla Banca centrale. Visto il silenzio tombale della Casa Rosada, Martín se n'è andato, sbattendo la porta. Il presidente è stato colto di sorpresa dalle sue dimissioni e al momento del suo annuncio online stava mangiando il classico asado con amici. Significativo anche che nell'esatto momento in cui Guzmán lasciava, la Kirchner lo stava attaccando duramente per l'ennesima volta in un comizio che celebrava Perón. Cristina, contraria all'accordo con il Fmi come La Cámpora, adesso ha già nel mirino il ministro degli Esteri, Santiago Cafiero, l'ultimo fedelissimo di Alberto.

Nonostante l'opposizione della Kirchner, Guzmán era riuscito a raggiungere un accordo con Kristalina Georgieva, la discussa direttrice del Fondo Monetario e a preservare l'Argentina da un default peggiore di quello del dicembre 2001. Oggi la terza economia dell'America Latina ha il secondo tasso di inflazione più alto di tutte le grandi economie, pari al 60% e tutti prevedono che entro la fine dell'anno salirà almeno all'80%.

L'accordo con il Fmi prevedeva misure per il controllo dell'inflazione e la riduzione del deficit di bilancio ma, adesso, è impensabile che le promesse fatte da Guzmán possano essere mantenute, anche perché, come già scriveva il Fondo quando accettò l'ennesima proroga nei pagamenti di Baires, «i rischi sono eccezionalmente elevati». E adesso sono aumentati di molto. Al momento in cui andiamo in stampa, Alberto Fernández e Cristina Kirchner non si sono ancora parlati, mentre l'unico intermediario tra i due «nemici» rimane Sergio Massa, che ieri dopo avere incontrato la vice si è riunito per 50 minuti con il presidente.

Immediate le reazioni alle dimissioni di Guzmán sulla piattaforma di scambio di criptovalute più popolare in Argentina, Binance, che a differenza delle borse, non chiude mai. Ieri i clienti pagavano 260 pesos argentini per un dollaro, mentre i prezzi sulla piattaforma Lemon Cash avevano addirittura raggiunto i 279 pesos, 45 in più rispetto al cambio blue di venerdì (quello ufficiale è fermo a 125).

L'ex ministro, assediato da un dollaro fuori controllo, un'inflazione inarrestabile e dal furioso assalto del kirchnerismo, se n'è dunque andato. Vedremo nelle prossime ore le reazioni dei mercati, ma forse dovremmo aspettare domani per le «grandi risposte»: oggi Wall Street è chiusa per la festa del 4 luglio.

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