Immaginate di sedere davanti a uno specialista che vi diagnostica un tumore al colon. E per un mese crogiolatevi dentro questa spaventosa scoperta. Poi qualcuno vi dice che era tutto uno sbaglio della segretaria che aveva trascritto male la diagnosi. Voi tirate un sospiro di sollievo ma intanto in quel mese quanti chili avete perso? Quante ore di insonnia avete contato? Quanti rapporti umani avete spezzato? Si può insomma quantificare questa brutta esperienza?
Ebbene sì. Anche questo genere di errore medico ha un prezzo. Per i giudici di appello di Milano vale esattamente 6mila e cento euro perché va risarcito «il turbamento dell'animo determinato dalla diagnosi erronea».
Ma vediamo il caso concreto. Siamo a Milano. Ad un paziente in cura al Policlinico di Milano viene diagnosticato un tumore, detto «adenocarcinoma infiltrante», un cancro che colpisce il colon. Il paziente però vuole vederci chiaro. E si precipita in altro ospedale dove diagnosticano una displasia e non un tumore.
Una bella differenza che fa scattare nel paziente il desiderio di riscatto. Rappresentato dal legale Stefano Gallandt, l'uomo inizia la trafila giudiziaria che è durata sei anni.
In primo grado, il Tribunale civile di Milano respinge le richieste risarcitorie dell'uomo perché il medico si era difeso addebitando parzialmente l'inesattezza della diagnosi a una errata trascrizione della segretaria. Inoltre, secondo i giudici «l'errore non era andato a ledere l'integrità fisica del paziente non essendo stato predisposto successivamente, una volta venuto a galla l'errore, alcun intervento chirurgico». Insomma visto che l'intestino non era stato accorciato con il bisturi, il paziente doveva dimenticare tutto con un'alzata di spalle.
Invece l'uomo non ci sta. Ricorre in appello e la seconda sezione della Corte d'Appello, presieduta da Luigi De Ruggiero, gli dà ragione perché è stata riconosciuta la «colpa grave» nella diagnosi errata e anche la compromissione dell'equilibrio «psichico della persona».
Secondo i giudici, infatti, «un grave errore diagnostico, pur in mancanza di un successivo danno all'integrità fisica, è idoneo a ledere il diritto alla salute nella sua più ampia accezione, come diritto al benessere psico-fisico».
Questa sentenza sul turbamento psicologico in seguito all'errore diagnostico segue di pochi mesi quella del tribunale di Palermo che vedeva coinvolta una signora data per spacciata alla vigila di Natale a causa di un tumore al rene diagnosticato in un ospedale di Palermo. La donna, presa coscienza del proprio destino, aveva anche fatto testamento ma, aggrappandosi ad un barlume di speranza, decideva comunque di chiedere un appuntamento con un prestigioso Istituto di Milano, dove, dopo un attento esame, i sanitari non rilevavano alcuna traccia di tumore.
A lei, per i 15 giorni di «grave turbamento psicologico patito» sono stati pagati dall'ospedale ben 22mila euro motivate dalla «prostrazione e dalla sofferenze patite per essere stata costretta a vivere con la certezza di essere gravemente ammalata e senza speranze di sopravvivenza al tumore, nonché del patema d'animo conseguente allo stravolgimento che la nuova e sfortunata condizione avrebbe comportato per sé e per i suoi familiari per il tempo restante».
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