Giovanni Toti in otto ore di interrogatorio, con un paio di brevi pause, risponde a tutte le 167 domande dei pm di Genova che gli contestano la corruzione. Inquadra, contestualizza, spiega le intercettazioni che gli vengono addebitate come prove di un presunto patto corruttivo con l'imprenditore della logistica Aldo Spinelli. Pochissimi sono i «non ricordo».
Entra nel merito delle accuse in base a cui i finanziamenti da Spinelli - 74mila euro in più tranche - con bonifici tracciati sui conti correnti dei suoi comitati elettorali fossero in realtà mazzette in cambio di favori all'imprenditore. A partire dalla proroga trentennale della concessione del Terminal Rinfuse alla società dello «zar» del porto. Toti ammette di aver chiesto finanziamenti all'imprenditore come fatto anche con altri, di solito prima delle diverse tornate elettorali, ma nega qualsiasi collegamento tra le erogazioni e i suoi atti amministrativi. Esattamente il cuore dell'accusa. E riconduce quel rinnovo a un ambito di dell'interesse pubblico del porto.
I pm gli chiedono conto di un pranzo - il primo settembre 2021- a bordo dello yacht di Spinelli, e se in quell'occasione l'imprenditore gli avesse chiesto di accelerare la pratica. E Toti, si legge nel verbale dell'interrogatorio, spiega: «Nel corso del pranzo Aldo Spinelli mi ha chiesto di intervenire per capire perché non stava andando a buon fine la sua richiesta» sulla proroga. E quando al telefono esorta l'allora presidente dell'autorità portuale Paolo Signorini (ai domiciliari per corruzione) a velocizzare l'istruttoria? Lo fa perché «me lo aveva chiesto Spinelli». Ma, precisa Toti, «è doveroso per la Pubblica Amministrazione evadere le richieste velocemente e la soluzione di questa pratica rappresentava una frazione di un progetto generale». I pm gli domandano poi se in quello stesso pranzo avesse chiesto un finanziamento a Spinelli: «Non lo ricordo ma è possibile. Il gruppo Spinelli inizia a sostenere i miei comitati politici dal 2015 e questo rapporto è durato sino ad ora; voglio precisare che è quindi possibile che avessi chiesto un finanziamento anche prima».
In ogni caso la concessione del Terminal «era una pratica importante per il porto e quindi era importante definirla subito». Insomma, interesse pubblico e non solo di un privato. Ritardare la pratica «avrebbe provocato una tensione tra gli operatori e avrebbe alimentato polemiche negative». I pm gli domandano di un'intercettazione in cui Toti esorta Spinelli a «non scordarsi» di lui: «Certamente facevo riferimento al finanziamento», spiega il presidente. Ma sulla presunta correlazione tra i soldi erogati da Spinelli e le sue azioni sul rinnovo della concessione, il governatore è netto: «Dal mio punto di vista non c'era alcuna correlazione dato che Spinelli mi finanziava da lungo tempo». Non solo, va capita anche la personalità dell'imprenditore, pragmatico e molto attivo con gli attori istituzionali del territorio: «Spinelli è uno che ci prova sempre», dice Toti. «Cioè è uno che chiede una mano. Era comprensibile la sua insoddisfazione» sul ritardo nel rinnovo. «Tutte le volte ti ricorda se puoi fare qualche cosa per lui. Ripeto che non ho percepito alcuna correlazione». Toti ammette che quando al telefono gli annuncia la «buona notizia» che finalmente la pratica della proroga stava arrivando al comitato di gestione, «gli reiteravo la richiesta di finanziamento. Ma non ho posto in relazione le due cose; al massimo era una captatio benevolentiae. Volevo fare vedere che mi ero interessato per velocizzare la pratica». Quanto alle posizioni contrarie in comitato portuale nessuna pressione: «Il mio intervento era volto a trovare una soluzione per arrivare all'approvazione, la soluzione migliore. La pratica di rinnovo era pervenuta al comitato di gestione con esito favorevole degli uffici istruttori». Quanto agli affari di Spinelli e al fatto che il rinnovo abbia valorizzato la sua società, di cui ha vendute delle quote dopo la proroga, Toti spiega che non sapeva «ci fosse una trattativa». Ribadisce infine che sì, «tutte le erogazioni sono state da me richieste». In totale trasparenza.
Sull'accusa di voto di scambio, in base a cui i fratelli Arturo e Maurizio Testa, sarebbero stati i referenti della comunità riesina legata al clan Cammarata, Toti spiega: «Erano assillanti e presentavano persone chiedendo se potevamo dare una mano. Di certo non ho mai immaginato un collegamento diretto tra voti e posti di lavoro».
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