La delusione c'è, e Carlo Calenda la ammette senza alibi o giri di parole: «Il nostro obiettivo, cui abbiamo lavorato per un anno, era governare Roma, e non lo abbiamo raggiunto».
Ma è una delusione con molti lati positivi, perché il risultato ottenuto tutto da solo, senza le macchine da guerra di destra e sinistra né il potere clientelare della sindaca uscente Raggi, è ragguardevole: attorno al 20%. «Ora abbiamo dimostrato che esiste un'area riformista e pragmatica, che non si accontenta delle appartenenze e rifiuta populismo e sovranismo. Un'affermazione significativa, che non ha alcun precedente per le liste civiche», dice Calenda. E promette: «È un lavoro che continuerò, non solo a Roma ma in Italia».
Ora l'ex ministro del governo Renzi diventa l'oggetto del desiderio per la partita più significativa dei ballottaggi. Lo corteggia il centrodestra, che con Sgarbi lo definisce «il vincitore morale di Roma, l'unico candidato civico che ha i numeri» e invita Michetti a «offrirgli un ruolo commissariale» nella sua giunta, evidentemente per coprire l'evidente inesperienza dell'aspirante sindaco. Ma lo corteggia ancor più il centrosinistra, con Enrico Letta che annuncia che lo chiamerà («Con Carlo ci parliamo da una vita») per «fargli un ragionamento sul futuro, perché le nostre strade dovranno inevitabilmente convergere, con lui e anche con altri».
«Altri» è, chiaramente, soprattutto Matteo Renzi, l'altro personaggio forte dell'area centro-riformista. Che dal canto suo rivendica il ruolo «determinante» di Italia viva nella vittoria di Letta in Toscana, dove le liste renziane avevano preso il 7,5%. E gioisce di aver «posizionato Iv quasi ovunque davanti alle liste del Movimento Cinque Stelle». E, annunciano dal suo partito, «abbiamo più sindaci dei grillini, molti eletti al primo turno: da Garda a Minturno, da Rignano Flaminio a Castelvenere». Danno soddisfazione anche i candidati simbolo nella coalizione di centrosinistra, come Isabella Conti che a Bolona «doppia i Cinque Stelle» e Lisa Noja che a Milano «va meglio della candidata di Conte». Il messaggio è chiaro, ed è rivolto al Pd: allearsi con il centro è più conveniente che inseguire i grillini, che non si salvano neppure con Conte.
Del resto anche nel Pd c'è chi ammette: «Abbiamo sbagliato di grosso a Roma: se avessimo appoggiato Carlo Calenda, avremmo potuto vincere anche al primo turno».
Perché, mentre il serbatoio grillino si sta inesorabilmente svuotando, chi riesce ad intercettare il voto moderato che si riconosce nel governo Draghi offre un valore aggiunto. «Guardate a Torino, dove il candidato anti-grillino del Pd ha rimontato in modo impressionante. O a Milano, dove Sala ha rifiutato le avance di Conte», suggerisce un esponente di Base riformista.
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