"Deadlock", stallo. Se ai tempi supplementari il Consiglio Ue non riuscirà a trovare un accordo sul Recovery Fund, l'Italia rischia di non avere più possibilità di scelta sull'utilizzo dei 37 miliardi del Mes. E non è detto che sia una sventura considerato che la seconda proposta negoziale presentata dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, era sicuramente poco vantaggiosa per i Paesi mediterranei più indebitati.
E in serata Olanda, Danimarca, Austria e Svezia hanno sferrato un altro duro colpo alle speranze italiche, presentando un documento comune nel quale si chiederebbe di tagliare di 155 miliardi di euro i sussidi dei 750 miliardi complessivi del Recovery Fund portandoli intorno ai 300 miliardi di euro. Il governo italiano, per contro, ha avanzato una proposta per modificare il meccanismo che può bloccare l'erogazione in fase di attuazione dei fondi. In pratica, il premier Conte ha cercato di tenere il punto sul ruolo decisorio della Commissione Ue con voto «a maggioranza qualificata» e non all'unanimità.
In realtà, ieri i lavori del Conisiglio sono durati poche ore, perché quasi tutta la giornata è stata occupata da vertici bilaterali tra Angela Merkel, Ursula von der Leyen e Charles Michel con i capi dei Paesi più recalcitranti sui due fronti.
Le trattative del venerdì, proseguite fino alle 3 di ieri notte, hanno determinato infatti una revisione del pacchetto «Next Generation Eu». Per venire incontro alle obiezioni dell'Olanda del premier Mark Rutte e dei Paesi «frugali» è stata infatti proposta una riduzione dei sussidi a fondo perduto da 500 a 450 miliardi. Al contempo è stata ventilata l'idea del «freno di emergenza» emersa nella tarda serata di venerdì per venire incontro alle richieste dell'Aja, impuntata sull'unanimità in seno al Consiglio Ue nella valutazione dei piani di spesa dei singoli Paesi. In pratica, si darebbe a un singolo Paese la possibilità di deferimento al Consiglio Ue o all'Ecofin con contestuale blocco dei fondi anticrisi.
La seconda proposta di Michel, che nella notte sarà sostituita da una nuova, non è totalmente negativa per l'Italia in quanto viene rafforzata di 15 miliardi di euro (da 310 a 325) la parte sostanziale della Resilience Recovery Facility, che rappresenta il cuore pulsante dei sussidi del Next Generation Eu. Aumento di risorse che viene però compensato dai tagli ai vari programmi dei bilanci comunitari tra i quali sanità (-2,7 miliardi) e sviluppo rurale (-5 miliardi), un colpo per i Paesi dell'Est già indispettiti dal pressing sul rispetto dei valori liberali. Lo schema di distribuzione delle risorse cambierebbe: 60% (e non 70%) dei fondi distribuiti in base a Pil e disoccupazione degli ultimi 5 anni e 40% in base al calo della crescita nel 2020.
Il resto del pacchetto era stato studiato per accontentare Rutte e i frugali con un aumento dei rebates, gli sconti sui contributi al bilancio. A questi Stati sarebbe concesso di poter trattenere il 20% dei dazi doganali, anziché il 15 per cento.
In extremis l'apertura del premier austriaco Sebastian Kurz. «Poche obiezioni» sui 750 miliardi di euro del fondo, ma il livello dei trasferimenti diretti non rimborsabili «deve essere ridotto». Un segno della capacità di convincimento di Merkel.
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