Il capitolo pensioni ha messo d'accordo quasi tutti. Contro la riforma ci sono i dirigenti e i sindacati dei dipendenti. I primi contro il prelievo sulle pensioni d'oro, i secondi già alle prese con le proteste degli iscritti sul recupero ridotto dell'inflazione sugli assegni previdenziali a partire da 1.500 euro. Giudizio prevedibilmente negativo da parte delle opposizioni, ma anche esperti vicini al governo hanno espresso dubbi.
Che il tentativo di fare cassa con la previdenza sia un percorso a ostacoli lo ha di fatto ammesso anche Giovanni Tria. Ieri a 24mattino su Radio24 il ministro dell'Economia ha precisato che il provvedimento sarà «temporaneo, anche perché se non lo fosse sarebbe incostituzionale. Si chiedono un po' di sacrifici ma non molti. Quando si fa una redistribuzione del reddito, siccome non si creano soldi dal nulla, bisogna fare una scelta politica».
I ricorsi sono inevitabili. La Cida, principale associazione dei dirigenti li sta già valutando. Ieri il leader della confederazione dei dirigenti e delle alte professionalità Giorgio Ambrogioni ha incontrato il premier Giuseppe Conte chiedendogli modifiche alle taglio delle pensioni d'oro. Nel maxi-emendamento è un taglio che va dal 15% al 40% per gli importi oltre 100mila euro. «Ferme restando le nostre valutazioni critiche espresse ed argomentate in varie occasioni, compresa la possibilità di ricorrere alla Corte Costituzionale, abbiamo espresso al Presidente del Consiglio l'auspicio che, da parte del governo, si trovino margini per emendare» le due misure. Nei giorni scorsi la stessa Cida aveva sottolineato come il decurtamento degli assegni porterà a una diminuzione del gettito, visto che ridurrà il reddito imponibile. «Alla fine, lo Stato incasserà molto meno di quanto stimato», aveva osservato Ambrogioni.
I sindacati hanno annunciato una mobilitazione contro la legge di Bilancio. In particolare contro la stretta sulla perequazione, cioè il recupero dell'inflazione, che colpisce anche i redditi bassi.
Ieri la Uil ha stimato gli effetti. I pensionati rischiano di perdere quasi 170 euro l'anno. Il mancato recupero pieno dell'inflazione, così come il taglio alle pensioni d'oro, è una misura a tempo. Durerà tre anni. Saranno salve le pensioni sotto i 1.522 euro al mese (3 volte il minimo). La decurtazione maggiore, fino al 60%, scatterà per gli assegni oltre i 4.566 euro. Per una pensione pari a 6 volte il minimo, «la mancata ripresa dell'indicizzazione si traduce in una perdita di 167 euro annui dal 2019», ha attaccato il segretario confederale, Domenico Proietti.
I sindacati dei pensionati hanno annunciato una mobilitazione. In una nota congiunta, Spi Cgil, Fnp Cisl e Uilp Pil hanno denunciato che la manovra sottrarrà in tre anni «2,5 miliardi di euro dalle tasche dei pensionati. Ora diciamo basta». Non basta la prospettiva di Quota 100. Il governo «con una mano sembrerebbe dare ma con l'altra certamente toglie». I sindacati cominceranno a manifestare davanti a tutte le prefetture d'Italia
Il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, fondato e presieduto da Alberto Brambilla, esperto di pensioni ha bocciato rivalutazione e taglio degli assegni d'oro.
«Le nuove regole sull'indicizzazione delle pensioni e il taglio ai cosiddetti assegni d'oro rischiano di causare un grosso costo alla collettività, trasferendo risorse dal lavoro all'assistenza e incoraggiando l'economia sommersa anziché il senso del dovere». Valutazioni di un centro studi guidato da un esperto vicino a Matteo Salvini.
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