La giustizia nel recupero delle pene pecuniarie non funziona. Parola di Procuratore generale. Il Giornale ha potuto visionare un documento in esclusiva: è l'intervento del Pg di Brescia Guido Rispoli davanti alla tradizionale assemblea nazionale dei Pg del 21 e 22 ottobre scorsi. Un documento chiarissimo che denuncia lo stato della giustizia e i possibili effetti della riforma voluta dall'ex Guardasigilli Marta Cartabia, la cui entrata in vigore è stata posticipata al 30 dicembre 2022 e sui cui si addensano profili d'incostituzionalità.
Qual è la svolta che la riforma imprimerà? Con la riscrittura dell'articolo 660 del codice di procedura penale la pena pecuniaria non viene più concepita come «un credito che lo Stato deve recuperare», ma come una pena vera e propria, al pari di quelle detentive «deve essere eseguita attraverso un ordine di esecuzione emesso dal pubblico ministero quale organo dell'esecuzione». «Le disposizioni che modificano l'attuale regime sanzionatorio costituiscono uno dei tre pilastri della riforma», ragiona con Il Giornale l'avvocato Ivano Iai. Rispoli constata che finora la pena pecuniaria è stata «ineffettiva» perché «generalmente non viene, né eseguita, né convertita». Per colpa di chi? Di una procedura farraginosa? Di una polverizzazione delle responsabilità? I dati statistici che il Pg di Brescia fornisce arrivano dallo stesso ministero di via Arenula: «Le condanne a pena pecuniaria (multa e ammenda) definitive iscritte nel Casellario giudiziale nel 2019 sono superiori a 2 miliardi di euro», ciò che è stato effettivamente riscosso «è stato di poco superiore a un milione di euro, vale a dire lo 0,046%». Un dato agghiacciante, fallimentare. Che oltre al danno economico in termini di «costi per la polizia giudiziaria, per il personale di magistratura e amministrativo del comparto giustizia e per i compensi riconosciuti a Equitalia Giustizia» rappresenta a dire di Rispoli «un danno di sistema»: se si vuole - come dice la riforma - che la pena pecuniaria rappresenti una alternativa credibile alla pena detentiva, essa deve necessariamente divenire reale e indefettibile. E come? E qui viene il bello.
Con la Cartabia è il pm che ingiunge al condannato il pagamento, entro 90 giorni e deve anche verificare l'avvenuta esecuzione della pena con il pagamento. Altrimenti il pm deve trasmettere gli atti al magistrato di Sorveglianza competente. Ma visto che gli uffici di Procura sono sotto organico e che sono carenti anche le funzioni magistraturali - tanto che il Guardasigilli Carlo Nordio sta pensando di accelerare l'immissione in ruolo delle nuove leve - a chi verranno affidati gli incarichi di riscossione prima della Sorveglianza, a fronte di un mancato risultato dell'Agenzia delle Entrate? Agli ufficiali di polizia giudiziaria? Magari alla stessa Guardia di Finanza, con cui Rispoli a Brescia lavora in prima linea sul fronte della lotta alla criminalità organizzata in Lombardia, portando a casa vittorie importanti? Domande a cui il legislatore deve dare risposte ben prima dell'entrata in vigore della Cartabia.
Cosa succede a chi, magari potendo, condannato in via definitiva non paga? Oggi l'insolvibile la fa quasi franca, da domani la pratica passa alla Sorveglianza. Con l'aiuto degli ufficiali di Pg o dei finanzieri il giudice decide se il condannato in via definitiva è indigente o fa il furbo... E se è così, fa la conversione e scatta la pena domiciliare o la semilibertà sostitutiva, che vale 250 euro al giorno. Bisognerà stare in un istituto di pena otto ore al giorno (fino a un massimo di due o quattro anni) e svolgere, per la restante parte del giorno, attività di lavoro, di studio, di formazione professionale utili alla rieducazione ed al reinserimento sociale.
Una novità
assoluta, le cui ricadute su un sistema penitenziario già vicino al collasso sono imprevedibili. Mentre la criminalità organizzata conquista fette sempre più importanti dell'economia sana grazie ai proventi del narcotraffico.
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