I riciclati in Sicilia inguaiano Salvini. E lui è pronto a commissariare l’isola

Due dirigenti arrestati per voto di scambio. La Lega: «Commessi degli errori»

I riciclati in Sicilia inguaiano Salvini. E lui è pronto a commissariare l’isola

Anche se non si direbbe, dietro al nome del reato di cui sono accusati i due esponenti del movimento «Noi con Salvini» arrestati ieri a Palermo - attentato contro i diritti politici del cittadino - si nasconde un escamotage per trarre in inganno gli elettori inducendoli a votare un candidato diverso da quello, decisamente più conosciuto, che pensavano di aver scelto.

C’è anche questo nell’inchiesta per voto di scambio che sta scuotendo la Lega in Sicilia, effetto forse dell’espansione a sud di un partito che al di fuori della Padania non aveva mai messo radici e che ha dovuto pescare a piene mani tra il capitale umano preso in prestito da altri partiti. Una vicenda che ha suggerito al leader, Matteo Salvini, di correre ai ripari convocando i vertici regionali del movimento per rendersi conto di persona della situazione, pronto in caso di necessità a commissariare il movimento in Sicilia, dove alle recenti politiche ha ottenuto quasi il 5,5 dei consensi.

Ai domiciliari su richiesta della Procura di Termini Imerese sono finiti Salvatore Caputo, detto Salvino, ex parlamentare regionale ed ex sindaco di Monreale di An, avvocato e commissario straordinario per i comuni della provincia di Palermo di «Noi con Salvini» durante le scorse amministrative, e suo fratello Mario, anche lui avvocato e candidato all’Assemblea regionale siciliana sempre con la Lega. I carabinieri hanno arrestato anche Benito Vercio, considerato il loro procacciatore di voti. I tre, secondo i magistrati, avrebbe messo in atto un piano per far credere agli elettori che il proprio voto sarebbe servito a sostenere la candidatura di Salvino Caputo, quest’ultimo in realtà incandidabile a causa della legge Severino in seguito ad una condanna per tentato abuso d’ufficio. Ma poiché quello più noto era lui, i manifesti e i volantini elettorali riportavano solo il cognome del candidato «Caputo», senza foto, per beffare i votanti. Inoltre, nella lista, Mario Caputo aveva fatto aggiungere al proprio nome il falso appellativo «detto Salvino», con il quale era conosciuto il fratello, e in numerosi comuni palermitani l’ex sindaco di Monreale si presentava come se fosse lui e non Mario il reale candidato.

Nell’inchiesta ci sono anche venti indagati, tra cui il deputato leghista Alessandro Pagano e il leader di «Noi con Salvini» in Sicilia, Angelo Attaguile.

Amareggiato Giancarlo Giorgetti, capogruppo della Lega alla Camera: «Se ci sono delle colpe si condanni, ma non credo che in Sicilia siano gli unici sospettati per questo reato. È possibile che in alcune zone sia stato commesso qualche errore, in un percorso di crescita in aree problematiche».

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