I tour del macabro e l'ira dei sindaci: "Troppi qui in giro a fare fotografie. Non venite da noi"

Il primo cittadino di Barbara: "Ho chiuso le strade, non è un museo". Rabbia pure a Pesaro: "Intralciate i soccorsi, trovatevi un hobby!"

I tour del macabro e l'ira dei sindaci: "Troppi qui in giro a fare fotografie. Non venite da noi"

È successo dopo il disastro della Costa Concordia. È capitato dopo i delitti di Cogne e di Avetrana. Anche per il crollo del ponte Morandi a Genova e di recente per la tragedia della Marmolada. Capita ogni volta che una qualsiasi autostrada sia bloccata a causa di un incidente. File di curiosi, gruppi di turisti, addirittura comitive organizzate e visite guidate. Armati di telefonini e di malsano voyeurismo, si va in cerca del luogo della tragedia con malsana curiosità. Fa tristezza, ma non solo. In casi come quello della Marmolada prima e quello dell'alluvione che ha devastato le Marche adesso, oltre a essere molto discutibile è anche dannoso. Tanto da costringere i sindaci e gli enti locali a dire basta: state a casa, non venite a scattare foto nei luoghi delle tragedie se non fate parte della macchina dei soccorsi. Oltre a essere sgraditi sarete di intralcio. Sembra quasi assurdo ma è stato ed è necessario che qualcuno lo ricordasse e lo dicesse. Con forza.

E così in diversi comuni è stato necessario l'intervento diretto delle istituzioni, con tanto di divieti ad hoc. Tra i più duri Riccardo Pasqualini, sindaco di Barbara, piccolo comune in provincia di Ancona devastato dall'alluvione, ha scritto sui social dell'ente: «La zona non è un museo, né un'attrazione turistica». E ancora, segnalando le chiusure alla viabilità di diverse strade, «se non coinvolti con i soccorsi e aiuto alle persone, siete pregati, anzi siete obbligati a non frequentare la zona, così da lasciare spazio a chi opera nei soccorsi. Oltretutto anche per non incorrere in problemi che possono causare rischi alla vostra incolumità. Confidiamo sul vostro buonsenso e collaborazione». Tanto semplice quanto ovvio da sembrare superfluo. Eppure, proprio il buonsenso in questi casi rasenta lo zero. Troppa voglia di vedere dal vivo quello che si è visto in tv, troppa foga di esserci e magari di scattare un selfie ricordo. Chissà come senza provare un minimo di vergogna. Stessa cosa a Pesaro, dove il sindaco Matteo Ricci denuncia: «Troppe persone in giro a scattare foto, la situazione è seria». E il suo vice Daniele Vimini va oltre: «Invito i curiosi del temporale che si stanno riversando nel lungomare a fotografare gli alberi spezzati a tornare a casa (e trovarsi un hobby in generale). Intralciano il lavoro non facile e con il temporale in corso rischiano anche un ramo in testa o sull'auto... Non ci vuole molto, dai!». Eppure, è il caso di sottolinearlo, quasi di chiederlo per cortesia. Come disse solo un paio di mesi fa il governatore del Veneto Luca Zaia di fronte ai curiosi che affollarono la Marmolada subito dopo la tragedia. «No al turismo del macabro. Non ha nessun senso andare lì su a fotografare».

Perché non si tratta di un fenomeno episodico. Dalle tragedie naturali, ai drammi di cronaca fino ai fatti che si sono tinti di giallo per arrivare al banale tamponamento in autostrada. È quello che i sociologi chiamano dark tourism o turismo dell'orrore, ovvero la ricerca di quei luoghi in cui si sono consumati tragedie o delitti o di quei contesti in cui sono maturati eventi drammatici. Il piacere di visitare luoghi associati alla morte e alla sofferenza e a qualcosa di macabro, meglio se di vasta portata anche mediatica. Sembra un fenomeno di nicchia ma sono tanti i turisti del macabro, i morbosi della tragedia.

Quelli che non vedono l'ora di scattare una foto della devastazione, di immortalare il luogo della tragedia, di vantarsi di essere testimoni dell'orrore. Anche a costo di mettersi a rischio in prima persona o, come in questo caso, di ostacolare i soccorsi. Se è vero che la mente umana è contorta per natura, può andar bene essere inutili. Ma dannosi anche no.

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