La parola «sfrantummato» deriva dal dialetto napoletano e sta indicare un cedimento, una frantumazione, una rottura. Nel caso di Claudio Velardi il termine (rivolto a D'Alema) assume un significato familiare, di affetto profondo, quasi amichevole, per definire la parabola politica dell'ex presidente del Consiglio, passato da leader della sinistra a faccendiere - in base all'accusa dei magistrati della Procura di Napoli di armi tra Italia e Colombia.
Velardi e D'Alema sono legati da un trentennale rapporto politico, professionale e personale. Due fratelli, cresciuti in via delle Botteghe Oscure. Nel colloquio con Il Giornale Velardi sfoga la sua delusione: «Non riesco a parlare della fine che ha fatto uno sfrantummato». Non può? «No, gli voglio troppo bene per credere che un leader del genere, un ex presidente del Consiglio, si sia ridotto a fare questo».
Velardi è stato l'ombra di D'Alema ai tempi dell'ascesa a Palazzo Chigi nel 1996 dopo il ribaltone ai danni di Romano Prodi. Era nel cerchio ristretto dei fedelissimi con Nicola Latorre, Gianni Cuperlo Marco Minniti. Furono ribattezzati i lothar di D'Alema perché tutti con i capelli rasati a zero. Oggi D'Alema è indagato per corruzione internazionale nell'ambito di un'inchiesta della Procura di Napoli. I fatti contestati risalgono a una data prossima al 27 gennaio 2022.
Buon pomeriggio Velardi, disturbo?
«No, mi dica».
La volevo intervistare.
«Va bene. Ci sentiamo alle 15.45?».
Ok. A dopo
«Le faccio subito una premessa».
Prego, mi dica
«Di cosa vuole parlare?».
Di tutto, sinistra, Pd, Meloni, Schlein, D'Alema.
«Del caso D'Alema non riesco a parlare. So già dove andate a parare».
Non le chiedo di entrare nel dettaglio dell'inchiesta. Ma un commento dal punto di vista umano, visto che lei e D'Alema siete stati legatissimi.
«Appunto, proprio questo è il problema. L'aspetto umano, il mio legame personale».
È un problema?
«Sì, proprio l'aspetto umano. Non mi fa essere lucido».
Non siete più amici?
«Per carità, la questione è un'altra. Gli voglio troppo bene per parlare. Farei danni».
In che senso?
«Che non riesco a commentare sotto l'aspetto umano una vicenda del genere»
Troppo dolore?
«Umanamente non riesco a parlare della fine che ha fatto quello sfrantummato". Cosa devo dire».
Sfrantummato?
«Sì non riesco. Gli voglio troppo bene allo sfrantummato per essere obiettivo».
Le fa male vederlo così sulle pagine?
«Cosa le devo dire».
Ciò che vuole
«Sono in difficoltà. Non riesco a immaginare che un leader del genere un ex presidente del Consiglio si sia ridotto a fare questo».
Mediazioni per armi?
«Appunto, non ci credo che il D'Alema che ho conosciuto si sia ridotto a fare queste cose, sia finito in queste dinamiche».
Impensabile?
«Impensabile».
Brutta fine?
«Non riesco. Basta finiamola qui e mi perdoni».
Lei ha detto che lo strapotere dei giudici in Italia incide su tutti. Quando colpisce esponenti di sinistra fa più rumore, dato che questa parte politica ha difeso i magistrati strombettando.
«Non è un problema di analisi sulla sinistra. Per me è un fatto umano. Non sono nelle condizioni».
Parliamo del Pd, della Schlein, di Meloni?
«No, alla fine finiremo sempre su D'Alema».
Niente da fare, la rabbia è tanta. Velardi butta già la cornetta. Intanto però ci consegna il suo sfogo.
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