«L'approvvigionamento dei dispositivi di protezione individuale è stato gestito con improvvisazione e incompetenza». Giovanni Conforti di Yakkyo al telefono con il Giornale è un fiume in piena. Nei suoi depositi ci sono almeno 200mila mascherine che sarebbero state decisive nell'emergenza oltre a milioni di euro di ordini annullati. Con la sua Yakkyo ha seguito sin dai primi momenti l'evolversi dell'emergenza Covid-19 in Cina, in stretto contatto con una socia Taiwanese ed un team a Shenzhen. D'altronde ha una expertise nel dropshipping, con migliaia di spedizioni mese dalla Cina in oltre 100 nazioni e clienti come Bulgari, Eprice e il gruppo Uvet.
Colpa dell'Inail, dice l'imprenditore, che ha gestito l'operazione in modo disastroso: «Bisognava equiparare gli standard cinesi GB2626 con quello europeo EN149:2009 (Ffp2) come ha fatto l'Olanda o la Spagna». Esattamente il contrario della ratio del Cura Italia. «Il 31 marzo ho scritto una Pec all'Inail per richiedere validazione delle mascherine che importavo». Nessuna risposta. «Altra Pec il 22, un'altra il 27. Due delle mie mascherine nel frattempo - stesso tipo, stesso produttore - erano già state validate dall'Inail.
Ma il 9 maggio l'Inail mi dice che alcuni parametri della norma EN 149:2009 non sono presenti nei miei test report. Ma tutti quelli effettuati dai laboratori cinesi per la norma EN 149:2009 sono su base volontaria e al solo fine di dimostrare l'equivalenza e non l'aderenza della norma GB2626-2006.
Secondo la 3M infatti «i tre standard - l'europeo Ffp2, l'americano N95 e il cinese GB2626 - sono equivalenti». E tra l'altro «in Cina ci sono pochissimi laboratori che testano lo standard Ffp2. In Europa per un test serio, presso enti certificatori come Sgs o TUV, ci vogliono almeno 40 giorni. Tutte quelle che girano con Ce europeo sono certificati recentissimi, tipo fine aprile o inizio maggio». Il grosso del lavoro di certificazione lo fa una società turca, o una società polacca. Addirittura ci sono le pagine Facebook, dove il claim è «come certificare velocemente (sic) le mascherine».
Oggi nell'elenco dei dispositivi validati dall'Inail al 26 maggio ci sono solo 179 approvazioni. Come scrive lo stesso Istituto è stato processato solo il 50% delle 4.925 richieste ricevute - e di queste solo il 4% sono state approvate. Ma secondo una fonte interna all'Inail di tutti i soggetti autorizzati «neanche il 10% ha merce disponibile».
Ma la cosa più strana è la logica secondo cui si chiede di validare un prodotto in capo all'importatore. Ma sullo stesso identico prodotto l'ok vale per Tizio ma può non valere per Caio. Oltre al danno, la beffa. Nell'elenco Inail, ancora online mentre il pezzo va in stampa, ci sono diverse incongruenze. Per partecipare bisognava produrre scheda tecnica con foto e test report. Molte mascherine nell'elenco ne sono sprovviste. Nel numero 27, alla stringa produttore si legge «Cina-non pervenuto». «Come si fa a validare una mascherina ignorando il produttore?», si chiedono gli importatori di mascherine rimasti fuori dall'elenco. Ci sono anche altri dispositivi validati senza foto. È il caso delle mascherine Only logistics, la società dell'ex presidente della Camera Irene Pivetti, su cui è arrivato l'ok nonostante la perizia fatta dal tribunale di Savona che riferisce uno scarsissimo potere filtrante.
«Vuole ridere? - dice ancora Conforti - Abbiamo ideato il programma Nosciacalli. Per dare da un lato la possibilità a chiunque di approvvigionarsi di mascherine Ffp2 e dall'altro dare un contributo alle famiglie degli infermieri deceduti per il Covid-19. Per ogni confezione da 5 pezzi di mascherine a 19,99 trasporto incluso dono 5 euro alla Protezione civile. Consideri che se tolgo i costi di trasporto a me in tasca me ne arrivano 10».
Nei giorni scorsi è arrivata una Pec dall'Inail. Le mascherine che a maggio non andavano bene adesso magicamente sono a norma. «Ho chiesto l'accesso agli atti ma niente. E nell'elenco ufficiale redatto dall'Inail ancora non ci sono...».
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