Inversione dei ruoli, Luigi finisce in panchina

Il "governativo" si ritrova scavalcato. Riflettori sul "duro e puro" del movimento

Inversione dei ruoli, Luigi finisce in panchina

Ruoli ribaltati nel M5s, un altro effetto imprevedibile dello stallo post urne. Così, ecco che al «ribelle» Roberto Fico, il cosiddetto «duro e puro», l'ortodosso dell'anima grillina più refrattaria agli inciuci di governo, spetta di salire al Colle per l'incarico (esplorativo, ma sempre incarico), mentre al governativo Di Maio che a quell'incarico ambisce invece tocca stare ancora fermo in panchina. Per paradosso Fico è più vicino, almeno in queste ore, alla poltrona tanto agognata dal candidato premier del M5s e prescelto della Casaleggio Associati per la nuova fase del movimento, che deve passare dalle piazze al Palazzo. L'ex volontario della sinistra ecologista a Napoli e poi animatore dei banchetti grillini si è dovuto convertire alla giacca e cravatta e alla cura quotidiana della barba nella bottega storica nel cuore di Roma, look borghese poco frequentato nella vita precedente da Fico, imprescindibile invece per Di Maio che ha il guardaroba già pieno di completi da premier, freschi di negozio. Ma se il ribaltamento al momento sembra destinato all'effimero e Di Maio fa «un grosso in bocca al lupo a Roberto» sperando gli spiani la strada di Palazzo Chigi, esiste qualche remota probabilità che lo scambio di ruoli si completi per davvero. La maggioranza che Fico deve sondare per conto del suo «capo politico» è infatti con baricentro a sinistra, tra Pd e Leu che hanno già fatto capire di dialogare più volentieri con Fico, referente della «sinistra» grillina, che col predestinato al ruolo Di Maio, figlio di un ex esponente locale del Msi. Proprio la freddezza di Fico rispetto all'asse di governo M5s-Lega e il suo maggiore apprezzamento a sinistra, gli ha già fruttato la poltrona da terza carica dello Stato. È difficile che il colpo fortunato ai dadi riesca per due volte di seguito. Sarebbe una beffa clamorosa per Di Maio e il suo cerchio ristretto che già si frega le mani al pensiero di ministeri e incarichi pesanti.

Tra i due la distanza non è un mistero, anche se adesso è tenuta in secondo piano per il comune obiettivo di far fruttare il risultato elettorale del M5s incassando posti di comando nelle istituzioni. Fu plateale l'assenza di Fico sul palco della convention grillina che proclamò Di Maio candidato premier del Movimento. «Il candidato premier è capo della forza politica nel senso inteso dalla legge elettorale. Ma non è il capo della vita politica generale a tutti i livelli del M5S. Questa è una grande distinzione» precisò Fico, mentre Casaleggio invitava tutti «ad aiutare Luigi». «Non ci sono divisioni, ci sono idee differenti - spiegò invece Di Maio - Non esistono correnti, ci possono essere visioni differenti (con Fico, ndr) ma non penso a divisioni». Divisi, invece, su molti temi, come l'immigrazione, quando Di Maio definì le navi delle ong che imbarcano i migranti «taxi del mare», Fico rispose postando una intervista di Gino Strada. I numeri dei fedelissimi non sono paragonabili, anche se al Senato Di Maio è meno blindato. Però, dicono tutti nel M5s, Fico non ha mai avuto l'ambizione, nè il carattere, per fare l'antileader.

L'anima movimentista, più vicina a Grillo che a Casaleggio, può semmai trovare un referente in Di Battista, più istrione da piazza rispetto a Fico. Ritrovatosi catapultato sul massimo scranno di Montecitorio, poi chiamato al Quirinale con affaccio su Palazzo Chigi quasi per caso.

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