Sono le 18 passate quando Matteo Renzi, al termine di una giornata di frenetici tentativi di ricucitura, butta per aria il precario tavolo del governo. Bolla con parole durissime lo stile e i metodi di Giuseppe Conte, pronunciando una vera e propria requisitoria contro il premier, indicando un contesto anche internazionale sempre più incompatibile con la permanenza del «Giuseppi» di Trump a Palazzo Chigi. E annuncia le dimissioni delle sue ministre Teresa Bellanova e Elena Bonetti, nonché del viceministro agli Esteri Ivan Scalfarotto.
Per tutto il giorno il Pd aveva cercato di ricostruire il dialogo, con l'eterno mediatore Franceschini e con lo stesso segretario Zingaretti, che ieri si è messo al telefono con tutti i protagonisti dello scontro, da Conte a Renzi, e aveva sperato in un passo indietro dell'ex premier. Sottoposto non solo ad accorati appelli, ma anche a minacciose pressioni: si facevano girare voci sul gruppo di Iv prossimo all'implosione, su senatori pronti a passare con Conte, su Renzi prossimo a cedere in cambio di questo o di quello. Il tutto accompagnato dall'acrobatico dietrofront di Conte, cui il Quirinale aveva imposto di ritrattare le minacce sui Responsabili e sul voto e di tendere la mano a Italia viva. Ma con lo scorrere delle ore anche dal Nazareno si era intuito che il pressing non stava ottenendo i risultati voluti, e che Renzi voleva arrivare comunque alla rottura. E tentare l'ultimo affondo per ottenere un cambio della guardia a Palazzo Chigi: «Vuole la testa di Conte», era la conclusione.
La conferenza stampa annunciata da giorni è iniziata con quasi un'ora di ritardo, ma Renzi ha tagliato la testa al toro già in apertura: «Siamo qui per annunciare le dimissioni dei nostri membri di governo», ribadisce. Del resto, aggiunge, «la crisi è aperta da mesi, e non da noi». Poi l'affondo contro il premier: «Il suo non è l'unico nome possibile per Palazzo Chigi». Conte viene richiamato ad aprire il confronto della maggioranza nelle «sedi istituzionali» e non con «show di piazza (come quello appena fatto dal premier all'uscita dal Colle, ndr) o post su Facebook, perché la democrazia non è un reality show» casaliniano. La democrazia, insiste, «ha delle forme e se non vengono rispettate qualcuno deve avere il coraggio di dire che il Re è nudo. Non consentiremo a nessuno di avere pieni poteri. Questo significa che l'abitudine di governare con i decreti legge che si trasformano in altri decreti legge, l'utilizzo dei messaggi a reti unificate, la spettacolarizzazione della liberazione dei nostri connazionali, rappresentano per noi un vulnus alle regole del gioco. Chiediamo di rispettare le regole democratiche». E Renzi insiste anche sul quadro internazionale: gli Usa «sono il nostro principale alleato», ogni premier in Italia ha avuto relazioni forti con presidenti americani, Conte le ha avute con Trump. E non ha avuto la «saggezza» di condannarne l'exploit golpista post-sconfitta con «parole chiare come quelle di Merkel o Macron». Ora che c'è Biden, sembra dire Renzi, il trumpiano Conte diventa decisamente fuori posto.
Ogni mediazione sembra saltata, e su Renzi piombano gli anatemi di Pd e M5s. Zingaretti parla di «atto contro il paese». Andrea Orlando denuncia un «grave errore fatto da pochi che pagheremo tutti». Grillini e dem sono imbufaliti con il leader di Iv, e impauriti dal futuro.
«Ma vedrete che Matteo tratterà ancora, anche su Conte», dice un ministro. Ma i renziani negano: «Il Conte ter non esiste più. Se lui cerca e trova responsabili sparsi in Senato, auguri, noi saremo all'opposizione. Ma intanto ora deve salire al Colle e dare le dimissioni».
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