Per Donald Trump gli Stati Uniti hanno bisogno di «legge e ordine». Per Barack Obama il Paese stesso è stato «fondato sulle proteste» e «ogni progresso e ogni nuova libertà sono stati guadagnati mettendo in discussione lo status quo». Le posizione dell'attuale e dell'ex presidente non potrebbero essere più diverse. Il predecessore di Trump è intervenuto per la prima volta in video sull'uccisione di George Floyd e sulle proteste che da 10 giorni stanno proseguendo in centinaia di città americane nonostante coprifuochi e arresti. In un discorso dai toni fiduciosi, e citando le sue figlie, Obama si è rivolto direttamente ai giovani statunitensi di colore, che «sono stati testimoni di troppa violenza, una violenza che spesso arriva da chi invece dovrebbe proteggerti. Voglio che sappiate che voi contate, che le vostre vite contano, che i vostri sogni contano», ha detto riprendendo alla lettera il motto Black lives matter, «le vite dei neri contano», diventato lo slogan delle proteste in favore dei diritti dei neri degli ultimi anni. Sono proprio i giovani manifestanti, secondo l'ex presidente, ad aver fatto capire al Paese intero che nella società americana c'è qualcosa che «deve cambiare», e lo stanno facendo con un coinvolgimento trasversale «che non esisteva negli anni '60», ha detto Obama parlando durante un incontro virtuale dell'iniziativa «My Brother's Keeper Alliance», istituita da lui stesso nel 2014 dopo l'uccisione del 17enne afroamericano Trayvon Martin in Florida. Altra voce autorevole intervenuta ieri è quella della cancelliera tedesca Angela Merkel, secondo cui la morte di Floyd è stata «assolutamente terribile, il razzismo è terribile».
Nel frattempo, nella serata italiana, il corpo della vittima - che in seguito all'autopsia è stata riscontrata positiva al coronavirus ma asintomatica - è stato portato nel santuario della North Central University a Minneapolis, in Minnesota, la città in cui viveva e in cui è morto. Lì si è svolta una prima cerimonia funebre per lui, la prima di tre nell'arco di sei giorni: le prossime sono domani a Raeford, North Carolina, dove vive parte della sua famiglia, e poi tra lunedì e martedì a Houston, Texas, dove Floyd è cresciuto. A celebrarla c'era il reverendo Al Sharpton, noto volto della lotta per i diritti civili: anche lui in giornata ha voluto mandare un messaggio ottimista, dicendosi «più fiducioso che mai che siamo alle soglie di un vero cambiamento» nelle forze dell'ordine. Al memoriale, trasmesso in diretta tv da tutte le principali emittenti americane, hanno parlato anche la famiglia, gli amici e i legali di Floyd.
E ieri è stato anche il giorno in cui ha parlato, al New York Times, l'amico che era in auto con Floyd prima del controllo fatale: Maurice Lester Hall, 42enne di Houston. Dopo l'uccisione di Floyd, Hall è tornato in autostop fino in Texas, dove è stato arrestato per aver dato false generalità agli agenti di Minneapolis e sulla base di un precedente mandato. Ora, però, è diventato un testimone chiave del caso, e ieri ha sostenuto che Floyd «non ha mai opposto resistenza, stava solo chiedendo aiuto. Questo è ciò che mi rimane, vedere un uomo adulto piangere prima di vedere un uomo adulto morire». La scena descritta da Hall è durata 8 minuti e 46 secondi, tanto quanto l'ormai ex poliziotto Derek Chauvin ha tenuto il suo ginocchio premuto sul collo di Floyd.
Ed è stata questa anche la durata del momento di silenzio osservato ieri al Campidoglio dai senatori democratici statunitensi per ricordare Floyd e le altre vittime delle ingiustizie razziali. Per dirla con il senatore Cory Booker, «onoriamo questi morti per proteggere tutti i vivi».
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