Quarantaquattro giorni, novanta secondi, duecento e uno parole. Se non è record del mondo, di sicuro mai prima d'ora si era registrato roba simile nel Regno di Sua Maestà. Gli almanacchi segnalano un precedente, George Canning, nel 1827, lasciò l'incarico dopo 118 giorni ma fu a causa di una malore che lo fece cadere in ufficio e dunque arrendersi. Lady Liz Truss ha lasciato il civico 10 di Downing Street concedendo al popolo e alla stampa un minuto e mezzo di commiato, vestita di blu, con orecchini e collanina d'oro, al petto una spilla con le due bandierine dell'Ucraina e dell'Inghilterra, sul volto l'espressione pure sorridente e beffarda di chi stava per dire «tranquilli, vi accontento ma adesso sono affari vostri», ovviamente con parole risciacquate nel Tamigi.
È finita ancor prima di incominciare l'avventura di un primo ministro per caso, favorita dalle dimissione di un altro leader imprevedibile, Boris Johnson, portando, entrambi, il partito conservatore sull'orlo del fallimento elettorale e attore principale di una crisi economica devastante. In fondo sarebbe stato sufficiente ascoltare con attenzione la profezia di Francis Truss,cioè suo fratello, il quale ricordava come Mary Elizabeth, in breve Liz, da bambina già mostrasse una precocità di aggregazione epperò fragile, con una filosofia singolare: doveva vincere, avrebbe creato un sistema giusto per la propria affermazione ma, poi, nel caso di sconfitta, sarebbe scomparsa piuttosto che ammettere di essere stata battuta. Qualcosa del genere è accaduta in questi ultimi giorni, intendo dopo il licenziamento del suo cancelliere Kwasi Kwarteng, sbandando nei conti, mettendo alla porta Suella Braverman, responsabile degli Interni e ancora il capo della comunicazione, Jason Stein, alzando un polverone tipo smog degli anni Cinquanta, lasciando così il paese nello sconforto, con la sterlina in pena, i mutui alle stelle e i fischi e le ingiurie degli avversari politici in quella che è stata definita l'Armageddon delle sedute parlamentari.
Proprio in queste ore la bambina si è ricordata di essere diventata una donna e si è nuovamente appalesata con una frase ad effetto: «Sono una combattente, non una che molla». La notte ha portato consiglio, non dei ministri. Lady L ha capito di essere passata dalla storia alla cronaca. Potrà pur dire di avere fatto in tempo a seguire la morte e la sepoltura di Sua Maestà, di lei omonima, di avere incontrato, in modo buffissimo, con un inchino balbettante, il re Carlo III e di essere stata da lui accolta con un fantastico ma poco regale: «Mio Dio, di nuovo qui?, si accomodi» che nemmeno il ragionier Fantozzi Ugo avrebbe mai subìto. Liz Truss è riuscita a smentirsi nel giro di brevissime settimane dando ragione alla beffa dell'Economist, rilanciata dal Daily Star che l'hanno paragonata a una lattuga, dal costo di 60 centesimi, comprata al supermercato Tesco, con data di scadenza fissata. La lattuga, travestita con parrucca bionda, è ancora bella fresca, lady Truss è invece finita nella differenziata, secondo usi e costumi perfidi e dissacranti dell'umorismo made in Uk. Qualche cialtrone propone che venga installata, al 10 di Downing Street, una porta girevole perché ormai chi entra a quell'indirizzo non ha nemmeno il tempo di accendere la luce, riporre gli effetti personali sulla scrivania e, a sorpresa, riceve l'invito di accomodarsi all'uscita. Va da sé che, mai come in queste ore, il popolo intoni «Dio salvi il re», perché la Truss è spacciata e si annunciano profili non meglio definiti, in coda ci sono molti perdenti di successo.
L'epilogo era previsto, Liz Truss è apparsa dal nulla e nel nulla tornerà a muoversi.
L'avevano disegnata come la nuova Margaret Thatcher, the Iron lady, la signora di ferro, fatti due conti veloci si è rivelata una papier-mache, una lady di cartapesta. Ieri, poco prima dell'annuncio, è uscita dal portone laccato in nero, seguita dal marito Hugh O'Leary che se l'è data in fretta. Qualcuno ipotizza che a sera abbiano cenato a base di insalata. Di lattuga, oh yes.
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