La Lega scottata su Durigon frena l'attacco a Lamorgese

Le dimissioni sono una vittoria dell'ala governista. Salvini cambia linea sul Viminale, no alla sfiducia

La Lega scottata su Durigon frena l'attacco a Lamorgese

Due passi indietro per la Lega di lotta salviniana, mentre si rafforza ulteriormente la Lega governista tendenza Giorgetti. Il primo è quello sulle dimissioni di Durigon, rinviate il più possibile dal leader leghista nella speranza che si placasse la pressione sul sottosegretario al Mef (fedelissimo di Salvini e suo uomo chiave nel centro Italia e a Roma), cosa che non è accaduta e quindi le dimissioni inevitabili arrivate giovedì sera dopo l'incontro con Draghi, irremovibile sul «licenziamento» di Durigon. L'altro fronte su cui l'ala più di lotta della Lega - la ristretta nomenclatura senza un passato leghista che fa riferimento al segretario federale - è finita in un vicolo cieco è la battaglia per le dimissioni della Lamorgese.

La mozione di sfiducia per il ministro dell'Interno, idealmente una contropartita per andare pari dopo il siluramento di Durigon, è una via sempre più impraticabile per la Lega «di Draghi e di governo». Non a caso Salvini ha placato i toni nelle ultime ore, facendo capire che non seguirà Fratelli d'Italia nel voto contro la titolare del Viminale. Per il leader leghista sarebbe un passo troppo rischioso che lo metterebbe di fatto fuori dal perimetro della maggioranza di governo, per di più andando contro un ministro in quota Quirinale (e quindi Draghi). Anche il governatore leghista Massimiliano Fedriga chiede alla Lamorgese «un rafforzamento fortissimo dei confini», ma si guarda bene dal parlare di dimissioni. Anche in questo caso il cambio di registro della Lega è arrivato dopo l'incontro Salvini-Draghi. L'exit strategy trovata dal capo leghista è un incontro a tre, lui, il premier e la Lamorgese, in cui verrà chiesto un cambio di rotta sull'immigrazione. Ma nessuna forzatura sulla poltrona del ministro, non è tempo di aprire fronti di guerra nel governo di cui la Lega è azionista convinta (inoltre la Lega ha un suo sottosegretario al Viminale, Nicola Molteni).

Anche dell'annunciata interrogazione parlamentare sul rave party di Viterbo, rivolta appunto alla Lamorgese, non c'è ancora traccia. In più gli alleati come Forza Italia non seguono affatto Salvini su questa strada, anzi hanno chiesto più volte di calmare i toni. Lo ha fatto il numero due azzurro Antonio Tajani, e lo ha fatto ieri sul Giornale Mara Carfagna difendendo la Lamorgese «vittima di una campagna di delegittimazione pretestuosa». Ogni riferimento alla Lega di Salvini non è casuale.

In una lettera ad Affaritaliani Durigon fa sapere che senza più l'onore e l'onere dell'incarico al Mef dedicherà «tempo ed energie per Latina, per Roma e per altre battaglie importanti. Non solo quella delle pensioni, per evitare il ritorno alla legge Fornero, ma anche la rottamazione di decine di milioni di cartelle esattoriali o per i referendum sulla Giustizia».

Si apre nel frattempo la questione di chi prenderà il suo posto come sottosegretario al Tesoro.

La Lega lo rivendica, in base alla suddivisione dei posti tra partiti di governo e ai precedenti, come quello della senatrice Pd Simona Malpezzi, che si dimise pochi giorni dopo la nomina per diventare capogruppo al Senato, lasciando il posto alla compagna di partito Caterina Bini. Tra i leghisti dati come papabili per la poltrona lasciata vacante da Durigon ci sarebbero Edoardo Rixi e Massimo Bitonci, entrambi con passate esperienze di governo nel Conte 1.

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