L'omicidio come arma politica e lezione dimostrativa. Tanto più efficace quanto più clamorosa. Gli anni di Putin sono in questo senso costellati di episodi simbolici. La giornalista Anna Politkovskaja uccisa da sicari ceceni nel giorno del compleanno di Vladimir Vladimirovic; l'oppositore più promettente, Boris Nemtsov, ammazzato a pistolettate sotto le mura del Cremlino, forse il luogo più sorvegliato di tutta la Russia; l'ex Kgb Aleksandr Litvinenko, avvelenato a Londra con il misterioso polonio, una specie di marchio di fabbrica dei laboratori di Stato russi. Si potrebbe continuare.
Non c'è solo una cultura in cui il potere è ancora in maniera endemica fondato sul binomio sottomissione/violenza. Nella catena di questa serie di coincidenze, che tutto porta a non considerare casuali, c'è la stessa filosofia di Putin. Non pochi analisti hanno trovato analogie e similitudini, anche linguistiche, tra i suoi comportamenti e il mondo dei cosiddetti «vory v zakone», letteralmente i «ladri nella legge», le bande della mafia russa. E tra le prime leggi che valgono nelle carceri dell'immenso Paese c'è una frase che Putin ha nel corso del tempo ripetuto a più interlocutori: i nemici si combattono, ma i traditori si uccidono. La vendetta, sanguinaria e crudele fino all'efferatezza, è una delle caratteristiche costanti del suo potere. Lo si vede nel trattamento riservato a due tra i suoi maggiori oppositori: Vladimir Kara Murza e Alexey Navalny. Il primo è stato fondamentale (insieme all'ideatore, l'americano Bill Browder) nel far passare a livello internazionale l'arma delle sanzioni economiche, la camicia di forza che rischia far crollare il regime. Il secondo, grazie a Internet, l'unico strumento mediatico che il Cremlino non riesce ancora controllare, ha messo in ridicolo di fronte all'opinione pubblica interna e internazionale le ruberie della classe dirigente putiniana, fino a diventare uno dei potenziali protagonisti della Russia del futuro. Il pugno di Putin si è abbattuto su entrambi con durezza esemplare. Kara-Murza è stato condannato a 25 anni di carcere per «estremismo», Navalny a 19 di colonia penale a regime severo, per una colpa che si fa perfino fatica individuare nelle carte del processo.
Sia l'uno che l'altro, sono scampati a vari tentativi di avvelenamento e non è peregrino pensare possano non sopravvivere alla pena. Ivan il Terribile, per citare un altro inquilino del Cremlino, non avrebbe potuto fare meglio.
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