dal nostro inviato a Rimini
Come minimo inutile. La legge sullo ius soli, così come è fatta, avrà effetti opposti a quelli sperati. Ad esempio potrà disgregare le famiglie degli stranieri, che invece dovrebbero essere la base dell'integrazione in Italia. La norma in vigore varata negli anni Novanta, invece, funziona bene. E non nel senso che rende difficile acquisire il passaporto italiano. Al contrario, permette a molti di ottenere la cittadinanza. Ma se vogliamo veramente evitare l'effetto sostituzione, cioè il lento cambiamento della composizione della società italiana, bisogna cambiare cultura e tornare a fare figli.
Gian Carlo Blangiardo, professore ordinario di Demografia all'Università degli studi di Milano-Bicocca è reduce da un incontro al Meeting di Rimini sullo ius soli. Ha raccolto applausi e consensi schierandosi dal punto di vista dello scienziato contro la legge, nonostante Papa Francesco pochi minuti prima si fosse espresso a favore.
C'è bisogno di una nuova legge sulla cittadinanza che si basi sul principio dello ius soli?
«Personalmente penso non ci sia questa necessità, anzi. Basterebbe intervenire in alcuni punti della legge in vigore e tutto sarebbe tranquillamente gestibile. La legge attuale funziona e, nonostante quello che si dice, sta dando degli ottimi risultati».
Nel senso che in pochi ottengono la cittadinanza?
«Al contrario. Siamo il primo paese in Europa per numero di concessioni di cittadinanza. Di questi, i nuovi cittadini sono in parte consistente minori. Quattro su dieci. Non è vero che i minori possono diventare cittadini solo aspettando i 18 anni. Se uno della famiglia diventa italiano, possono avere anche loro la cittadinanza. Questa è una di quelle cose che non si dicono. Anche per questo non c'è questa esigenza di una nuova normativa».
Siamo primi anche per quanto riguarda il numero della cittadinanza concessa a minori? Le difficoltà di ragazze e ragazzi nel diventare italiani sono un cavallo di battaglia di chi sostiene lo ius soli.
«Nel 2015 eravamo al secondo posto dopo la Francia come percentuale dei minori che diventano cittadini in rapporto alla popolazione. I dati del 2016 non sono ancora usciti, ma l'anno scorso abbiamo avuto un aumento considerevole delle cittadinanze quindi è possibile che batteremo anche la Francia. Non è vero che ci sia questa chiusura verso i minori. I dati dimostrano il contrario».
Che rischi vede nella nuova legge così come è stata formulata?
«Unico rischio al momento è che si comprometta la coesione familiare».
In che modo?
«Creando all'interno di una famiglia una situazione strana, con il bambino più piccolo che diventa italiano e quello più grande che non può. Poi, visto che alla fine sono i genitori che decidono a chi riconoscere la cittadinanza, si potrebbero verificare casi di discriminazione verso le figlie femmine. Possiamo anche decidere che questo non è un problema, ma non vedo come si possa considerare lo ius soli un aiuto all'integrazione. Anche perché sono gli adulti che devono aiutare i bambini ad integrarsi e non il contrario. E quindi tutto sommato qualche rischio di creare forme di mancata coesione all'interno della legge c'è».
Gli italiani iniziano a temere l'effetto sostituzione. Il cambiamento della società italiana e degli equilibri a favore di persone che provengono da paesi e culture diverse dalla nostra. È un timore fondato?
«Nel lungo termine tutto può succedere. Siamo nel mezzo di un cambiamento, siamo in un Paese che fa meno figli e fino a poco tempo fa compensava questo squilibrio con l'immigrazione.
È chiaro che andando avanti così nel tempo, i nuovi arrivati, che producono nuove generazioni, tendano a sostituire quelli che c'erano in precedenza. È un dato di fatto. O cambiano certi atteggiamenti verso la democrazia e la famiglia o questo è il destino che dovremmo inesorabilmente subire».
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