Il libro nero del Senato: trucchi, abusi e sprechi

Un rapporto della commissione Giustizia svela la scarsa sicurezza dei dati gestiti da società private

Il libro nero del Senato: trucchi, abusi e sprechi

Gli archivi delle intercettazioni? In mano a società private, spesso su server custoditi all'estero fuori da ogni controllo. I trojan? Virus micidiali in grado di avvelenare il telefono dell'intercettato, mettendoci ciò che non c'era. I diritti dei difensori? Calpestati in continuazione, impedendo un controllo reale su come siano state scelte le intercettazioni da usare per incastrare l'indagato e quelle invece da tenere nascoste.

È una diagnosi impietosa del grande business delle intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali, quella che il Giornale è in grado di anticipare. Impietosa e autorevole, perché viene dalla commissione Giustizia del Senato e dal lavoro approfondito che ha compiuto nei mesi scorsi, sentendo quarantasei persone (magistrati, avvocati, docenti universitari, tecnici informatici, carabinieri) e visitando le procure di Milano e Roma. La relazione conclusiva della commissione è quasi pronta, ed è un documento con cui d'ora in avanti sarà difficile non fare i conti al momento di mettere mano al sistema che governa il Grande Fratello. Uno strumento fondamentale nella lotta al delitto ma distorto e condizionato da norme inadeguate.

QUEL PROGRAMMA MAI NATO

Nella sua visita a Milano la commissione ha scoperto che nella sala ascolto della procura sono presenti ben undici società private che si spartiscono gli appalti. Il programma blockhain (cioè a prova di incursione) chiamato Bomgar, che doveva spostare i dati intercettati dai server delle società private al server della Procura non è mai entrato in funzione. Risultato: oggi «non vi è alcuna certezza che del dato conferito alla Procura le società non tengano copia; le procedure di sicurezza di carattere interno adottate non sono sufficienti a garantire che i dati conferiti costituiscano la copia unica e originale». Significa che un numero incalcolabile di conversazioni e di documenti può restare nelle mani dei privati, una sorta di gigantesco archivio parallelo fuori controllo.

L'ARCHIVIO CHE FA ACQUA

A Milano la commissione ha visitato anche l'Adi, Archivio digitale delle intercettazioni, dove dovrebbero confluire tutti i dati. Incredibilmente è stata rilevata la «completa mancanza dei backup», che rende irreparabile ogni perdita dei dati. Il procuratore di Roma Francesco Lo Voi ha «evidenziato il problema della limitata capacità di memoria dei server dell'Adi» dove «lo spazio di archiviazione potrebbe esaurirsi in breve tempo».

LA RIFORMA INDISPENSABILE

Dai suoi lavori la commissione ha raggiunto la certezza che il problema delle intercettazioni non riguardi solo il loro uso nei processi, ma ben prima il modo in cui vengono realizzate: «il rischio di indebita limitazione delle libertà fondamentali si concentra nel momento della esecuzione specie laddove queste si avvalgano di strumenti e modalità rimessi prevalentemente alla gestione di soggetti privati. «Le criticità riscontrate debbono condurre ad una riforma che, muovendo dal presupposto della irrinunciabilità delle intercettazioni quale mezzo di ricerca della prova, persegua l'obbiettivo di elidere il rischio di abusi e di compressioni dele liberà fondamentali».

QUEI DIRITTI VIOLATI

Visitando le Procure la commissione ha scoperto che agli avvocati è consentito di fare copia solo delle intercettazioni ritenute rilevanti dal pm a suo insindacabile giudizio, mentre per tutte le altre i legali «sono obbligati ad ascoltare, esclusivamente nei locali della procura, ore ed ore di conversazioni e comunicazioni registrate. Inoltre, il materiale intercettato è disponibile fino al termine fissato proprio dal pubblico ministero». Secondo la commissione «i limiti posti all'ascolto delle registrazioni ritenute non rilevanti dal pm rappresenta un vulnus al diritto di difesa». Questo aspetto, «unito alla circostanza che di fatto è quasi esclusivamente la polizia giudiziaria a selezionare le intercettazioni rilevanti, rende particolarmente difficile l'esercizio del diritto di difesa, con specifico riguardo alla possibilità di individuare nel materiale intercettato elementi a favore del proprio assistito.

IL TROJAN TRADITORE

Analizzando il funzionamento dei cosiddetti «captatori informatici» o trojan, i virus che permettono di acquisire l'intero contenuto degli smartphone e trasformarli in microspie, la commissione fa una delle sue affermazioni più inquietanti: «è stata evidenziata l'attuale impossibilità di svolgere un effettivo controllo successivo sulle operazioni compiute, benchè questo strumento consenta non solo di ispezionare il contenuto di un dispositivo ma anche di alterarne i dati». Un trojan può inserire nel telefono di un indagato una fotografia o una chat di cui lui non sapeva niente, senza che questo risulti: «non è previsto l'impiego di uno strumento di tracciamento che consenta di ricostruire l'uso del captatore». Secondo la commissione serve una legge che preveda «il tracciamento obbligatorio di tutte le operazioni effettuate con riferimento al captatore informatico in modo da registrare eventuali manipolazioni». Ma questa legge per ora non c'è.

LE BANCHE DATI OLTRE CONFINE L'enorme massa di informazioni segrete e delicate provenienti dalle intercettazioni resta dunque a disposizione delle società private. L'inchiesta «ha messo in guardia dai pericoli connessi all'utilizzo di sistemi cloud per l'archiviazione, addirittura in Stati extraeuropei, dei dati captati. La delocalizzazione dei server in territori non soggetti alla giurisidizione nazionale costituisce un evidente vulnus non soltanto per la tutela dei diritti degli interessati ma anche per la efficacia e segretezza dell'azione investigativa».

GLI AVVOCATI INTERCETTATI

La commissione riferisce che «alcuni auditi hanno rappresentato una progressiva erosione del principio della segretezza delle conversazioni tra difensore e assistito», nonostante il divieto assoluto previsto dal codice.

A agevolare le violazioni il fatto che «vi è una lacuna in ordine alle sanzioni per il mancato rispetto del divieto» e alla «impossibilità di conservare nell'Adi le conversazioni coperte da segreto»: illegali, ma sempre nelle mani dei pm. Serve una legge che preveda «l'obbligo di distruzione dell'intercettazione eventualmente realizzata».

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