L'entusiasmo del leader dem Nicola Zingaretti per la «svolta» pro alleanze degli alleati 5 Stelle rischia di essere di breve durata.
La conta dei (pochi) voti nello scassato e ormai vetusto bussolotto di Rousseau è andata bene, ma gli effetti pratici non sono così automatici nè immediati. E invece Zingaretti - e con lui anche Giuseppe Conte - ha fretta. Tra pochissimi giorni, il 21 agosto, vanno depositate le liste per le elezioni regionali di settembre. E i Dem vorrebbero chiudere entro quella data l'accordo almeno su una regione dove il rischio di perdere è molto alto e dove un'intesa con i grillini (almeno così pensano al Nazareno) potrebbe fare la differenza: le Marche. In Puglia, Toscana e Campania l'accordo è impossibile. In Liguria, con la benedizione del vecchio ex comico locale Beppe Grillo, si è chiuso l'accordo sul nome del giornalista del Fatto Ferruccio Sansa, ma i sondaggi, a detta degli stessi dirigenti del Pd, restano «pessimi». Solo nelle Marche c'è ancora qualche chance di arrivare ad un accordo, nonostante le forti resistenze del partito grillino locale che finora ha detto di non volerne sapere di appoggiare il candidato dem Mangialardi, presidente dell'Anci regionale. Zingaretti teme una sconfitta 4 a 2, che aprirebbe un'autostrada alla contestazione - per ora sotterranea - della sua leadership, e alle richieste di un congresso che potrebbe vedergli contrapposto il governatore emiliano Stefano Bonaccini. Ma anche il premier Conte guarda con preoccupazione ad un possibile risultato negativo, per le inevitabili ripercussioni che avrebbe sugli equilibri già assai precari del suo governo. Non a caso Conte spende molto in Puglia a favore del ras uscente Emiliano (che soffre la doppia sfida dei 5 Stelle e di Italia viva, che gli ha candidato contro Ivan Scalfarotto con l'obiettivo dichiarato di farlo perdere) e anche in Liguria, dove sabato ha incontrato in un bar genovese Sansa e ha lanciato un appello: «Il governo sta andando bene, ma c'è bisogno di cementarlo attraverso le alleanze». Peccato che il responso di Rousseau abbia smosso poco o nulla in casa grillina: il partito rimane un confuso magma anarchico di correnti e bande locali, e manca al suo interno qualsiasi leadership in grado di interloquire con il Nazareno e assicurare il risultato. Lo stesso Gigino Di Maio, gran supporter del sì alle alleanze, non pare granché interessato alle sorti delle Marche e tanto meno del premier, e guarda se mai alle amministrative del 2021.
E al Nazareno si guarda con preoccupazione anche ad un altro potenziale contraccolpo del patto giallorosso: i renziani di Iv, così come i supporter di Azione di Calenda e ovviamente i radicali di Emma Bonino si sono immediatamente sfilati, bollando l'evento come la nascita di un «Ulivo populista», secondo la definizione coniata dal capogruppo Iv Davide Faraone: «Il modello Liguria non vince da nessuna parte. Vince Bonaccini in Emilia, con il riformismo vero», ricorda. Ancor più tranchant il candidato anti-Emiliano in Puglia, Ivan Scalfarotto, sottosegretario del medesimo Gigino: «L'intesa tra Pd e 5 Stelle è l'esatto contrario della nostra idea di riformismo.
Io sono candidato contro i grillini e contro il Pd, che in Puglia non è certo quello di Gori o Bonaccini». E al Nazareno si registrano con preoccupazione le manovre di avvicinamento tra Renzi, Calenda e Bonino, che potrebbero dar vita a un'area liberal destinata a togliere voti riformisti al Pd.
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